Peacock Alley – Apocalife

ApocalifeMischiare i generi, contaminare il suono con le influenze più disparate, pestare duro sulla batteria, sudare nell’enfasi distorta di una sei corde: tutte componenti comuni a migliaia di band che strappano i primi timidi vagiti tra fumosi concerti davanti ad una manciata di persone. Attitudine indie? Bah, oramai oggi quello che i discografici fagocita-reality-musicali non sanno definire, passa sotto l’egida indie-rock. E questo, spero, dovrebbe fare incazzare parecchio chi si prodiga sul palco a tessere un sound, il più originale e personale possibile! Gli Apocalife sono su per giù una band di questo tipo, non etichettabili univocamente con un genere o uno stile. Originari di Macerata si fanno le ossa come cover-band, ma col tempo rigano dritto e lontano da tentazioni di emulare gli eroi coverizzati. Con maggiore propensione al rock piuttosto che al hard, gli Apocalife presentano molti aspetti riconducibili al sound possente ed orecchiabile dei primi anni ’90, Pearl Jam per intenderci, ma con meno melassa!   

Peacock Alley è un ep ben confezionato, nel quale il rock vive in molte varianti, ma rimanendo sempre originale nel suo nucleo caldo. Camaleontiche, le chitarre a tratti stridono come pneumatici sull’asfalto reso viscido da pozzanghere metal, e ben si alternano tra gain e chorus in lungo uno spartito dalla faccia sporca. Il basso ricco di groove insaporisce i 4 brani presentati nell’ep, mentre la batteria di Marco Cantelli regge puntualmente  i diversi colori sul tema rock. Non è esatto parlare di ricchezza sonora fine a se stessa, piuttosto di varianti con propensione rock: esercizio di gran lunga più complesso, e che richiede una certa omogeneità, che in questo ep è tutto sommato mantenuta.

Ballad è il pezzo meglio riuscito, non solo per le modulazioni della voce di Diego Rubiconti o per l’assolo molto “metallico” di Giulio Romano Malaisi. Si presenta come un rock geniale, mai troppo oltraggioso, ma pronto a mostrare gli attributi se gli viene richiesto. White & Orange va in overdose di rock-funk, rendendo il brano apparentemente un incidente tra un metal poco virile e l’ottimo basso ipnotico di Andrea Balboni. Non si capisce in che terra esotica la band voglia attraccare, nonostante un indiscutibile originalità che andrebbe aggiustata per rendere più compatto e meno ispido un brano, altrimenti molto interessante.
Incisivi gli Apocalife contro i propri “nemici”. Una nebbia oscura metal è appena ventilata in Enemies, tuttavia senza calcare la mano, un rock (quello con la “R” che conta!)  concreto, quasi teatrale, ma senza nessuna retorica nascosta: la band mantiene la sua dimensione artistica senza scomodare paragoni ingenerosi con quel rock impacchetato e così tanto in voga!

Se qualche nostalgico ricorda Temple of the Dog (il tributo di Seattle ad Andrew Wood), potrà certamente accostarlo a Someone Else: una riflessione intima in salsa rock, cantata con un enfasi simile a quella di un Chris Cornell redivivo, purrimanendo nei giusti binari. Senza togliere nulla ad un eccellente brano, che a metà cambia tempo e si scatena in un rock pulito ma non patinato, orgoglioso ma non egoista!
Peacock Alley in sole quattro tracce coglie l’essenza di una band tecnicamente dotata e complessivamente coerente con il proprio progetto musicale. Orecchiabili nel modo giusto, senza cori o strani riff preconfezionati da microonde, gli Apocalife mostrano delle buone idee, a tratti originali, che sarebbe il caso di espandere per un futuro lp …


 Apocalife  myspace

 recensito da Poisonheart
 

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