No Place – RosGos

Nella vita si dice sempre che il difficile non è tanto primeggiare su un determinato campo, bensì confermarsi a quei livelli. Citazione sportiva che trova terreno fertile anche nel microcosmo della musica indipendente, come dimostra il nuovo lavoro del progetto artistico RosGos di Maurizio Vaiani.
Con No Place, l’ex Jenny’s Joke chiude una trilogia (ben documentata su queste pagine) iniziata nel 2020 con Lost in the Desert e proseguita due anni più tardi con l’epopea dantesca di Circles. E se nell’arido esordio RosGos si cimentava con un folk intimo e tormentato come un nudo David Eugene Edwards, nella complessa architettura di Circles l’asticella si alzava inesorabilmente nelle liriche e nella progettualità del disco, fondendo le “tollerate” storture del presente con i travagli personali ed interiori. Fino ad arrivare all’ultima fatica di No Place, che raccoglie l’esperienza maturata nei due precedenti album e la rielabora potenziando in egual misura sia la composizione (con splendide ed inquiete concessioni melodiche) che l’elegante songwriting.

RosGos - No Place

Trattandosi di un progetto musicale articolato e meditato, determinante risulta essere sia il ruolo di Toria (Marco Torriani) come consigliere/produttore, sia quello della Beautiful Losers di Andrea Liuzza, capace di ridefinire l’estetica ed un linguaggio visivo unico e perforante (vedasi il bellissimo e suggestivo video di My Cure nel link a fondo pagina). Il “non-luogo” di RosGos sembra avere un’accezione quasi karmica, dopo la tribolazione e la convivenza con il dolore, arriva un tempo per assimilarne le asperità, per comprenderne la potenza e la ferocia, un tempo e soprattutto un perimetro “in cui trovare la pace” come suggerisce lo stesso Vaiani. I drammi umani di alcune icone degli anni Novanta (Lanegan e Staley come cita il comunicato stampa, ma anche Linkous e Molina, aggiungo io) sono una prima e fugace fonte ispirazione, che tuttavia prende quasi subito una piega personale nelle allusioni, nei sottili riferimenti, nella ampie iperboli che RosGos si concede, dimostrando una padronanza lirica autorevole e sicura (vedasi la “circolarità” del verso di My Cure che apre il disco: “I no longer need a cure / I’m right here with you / I lick the thrills with you / and you are now my cure“). L’ampio ventaglio musicale attinge dalle atmosfere scure e pionieristiche degli Eighties (una spigliata wave inglese che procede audace verso i confini dark/goth) spingendo al contempo sulle increspature rumorose dell’alternative dei primi Nineties e su un’efficace ritmica elettronica (con sparuti echi “berlinesi”) tanto suadente quanto languida. Una commistione di generi e di influenze che rende No Place un disco in cui tensione e pace corrono su linee parallele così infinitesimamente vicine che solo uno spiraglio di fioca luce le separa: proprio quella fiammella di chiarore è l’humus, la condizione, lo stato d’animo dell’intero album.

Perfetto manifesto delle sensazioni emanate da questo lavoro è My Cure, primo singolo estratto da No Place, che nel suo complesso groviglio di emozioni opposte ed adiacenti, concede convincenti aperture elettro-pop grazie ad un riff portante ammaliante e ad un chorus evocativo, ma pungente. Componente fondamentale è il saper creare la giusta atmosfera in ciascun brano, mantenendo tuttavia una solida coerenza d’insieme, in questo senso il duo Vaiani-Toria svolgono un lavoro immenso nel “caratterizzare” i 10 brani di No Place: in Doll si alzano le nebulose scale di grigio di quel Faith sommo commiato dei primi Cure; nella claustrofobica Unexpressed Love la voce disturbata di RosGos esemplifica alla perfezione il cortocircuito sentimentale di cui lamenta il brano ed in cui s’immola lo spettro invisibile della desolazione; o ancora nella soffice lullaby di The Slide, ove semplicità e minimalismo soffiano con languore sulle ferite più recondite. Proprio quest’ultimi due brani così stilisticamente lontani, focalizzano con arguzia il tema meno evidente -ma altrettanto centrale- di No Place: la solitudine, quella fragile solitudine nell’affrontare ed accettare il dolore, un silenzioso esercizio di trasformazione interiore, che passa inesorabilmente per l’isolamento e la distanza. Sotto quest’ottica appaiono ragionati i movimenti di Among Your Dreams e la sua onirica richiesta d’aiuto (“I would like to feel protected like in a shell of love, please love me“), le peregrinazioni astratte di Bleeding Souls o il meditabondo ballo in solitaria di Dance with me, che profuma di liberatorio flusso di coscienza alla Sparklehorse diluito in musica.  
La parte finale di No Place non arranca affatto e tiene sempre altissima la tensione e la breccia su chi ascolta e desidera abbandonarsi all’immedesimazione. La sobria e salvifica Shelter gioca sugli schemi della classica ballata indie-folk, mentre la title-track si diverte tra beat tuonanti in quello che è forse l’episodio più libertino di tutto il disco, rispolverando le movenze elettroniche da dancefloor dei 90s. Tenera e sofferta è invece I Still Need You che pare presa dal diario personale del tarantolato Greg Dulli di Black Love, tanto è acre e lancinante l’interpretazione di RosGos, fino a spegnersi come la fiamma dell’ultimo mozzicone di candela. Il fumo grigio che sale è la misteriosa Pain, ghost-track (immancabile omaggio agli anni Novanta del CD e delle sue tracce nascoste) dai toni poetici, definitivi ma non rassicuranti, sentenziando senza espressione alcuna, come farebbe un Palahniuk durdeniano poco prima del crollo: “Pain is everywhere, do you understand?“.

No Place non chiude solo una trilogia intrinsecamente legata alle vicende personali del proprio autore, ma definisce in maniera mirabile le qualità emotivo/compositive di RosGos, capace di scavare -come già fatto in passato- nell’animo umano e nelle mortali idiosincrasie con grande tatto e sensibilità, confezionando un piccolo gioiello visionario nel quale dolore e solitudine vengono coscientemente vissute ed assimilate in quel piccolo fardello che tutti teniamo -da qualche parte- dentro il nostro cuore.

RosGos facebook
Beautiful Losers facebook

 

recensito da Poisonheart

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