Lost in the Desert – RosGos

La scelta di Maurizio Vaiani (ex Jenny’s Joke) di intitolare il proprio progetto solista RosGos -pettirosso, in dialetto cremasco- è prima di tutto intima e di cuore. Eppure, oltre l’aspetto privato e personale, vi è una duplice chiave di lettura, come una sorta di resistenza silente e meravigliosa, leggibile tra le righe di un secondo disco solista, Lost in the Desert (per AreaSonica Records), che esalta i chiaroscuri dell’anima, le zone d’ombre dell’istinto umano, senza vergogna di mostrare le cicatrici.

RosGos - Lost in the DesertGià ben navigato dall’esperienza nei Jenny’s Joke -nostalgico e concreto esempio di quel senso di appartenenza ad una band indipendente agli albori dell’era social- Maurizio Vaiani intraprende il cammino solitario nel seminale esordio di Canzoni nella Notte (2018), sfoderando tra timidezza e dolcezza, una primordiale capacità di soffrire interiormente: un labile equilibrio, che in età adulta evolve in una febbrile rugiada d’attesa, una tensione emotiva sudata e livida, tormentata, quasi in apnea. Lo svolgimento del disco suggeriva una meccanicità dei sentimenti, -tra antagonismi di azione/reazione- aprendo e chiudendo istantaneamente un capitolo compositivo, in debito tra le pretese passate ed un fanciullesco entusiasmo per l’esperienza in solitaria. In tutto questo, Maurizio Vaiani è rimasto umile nel rileggere le eventuali imprecisioni, vigile nell’alto senso critico del proprio operato artistico, anche grazie ai consigli del fedele Marco Torriani: cambiare approccio -cercando un po’ più lontano quelle parole che al tatto sembravano così vicine- è stata una scelta lungimirante. E vincente. In Lost in the Desert, il cantato in lingua inglese suona come una dolce evasione, apparentemente a giustificare e consolidare il sommo gaudio di un folk impolverato sulle strade di qualche Canyon; pure lo stile chitarristico ed una sottrazione minimalista in taluni arrangiamenti, suggerisco la ferma intenzione di raccontare con meno linearità -e con grandi, meravigliose iperboli- quello che è vicino, quello lambisce le pareti del cuore.

Nonostante le apparenze, Lost in the Desert non svolge le radici perdute di qualche sudicia provincia americana, né evoca diabolici o salvifici crossroad a separare infinite lande rigate da polvere rossastra: il “deserto” è un luogo metafisico, una condizione d’essere. Tutto sommato, RosGos ci mette alla prova, infierisce sulle intenzioni, nasconde la mano, imponendo una certa estetica di un folk sporcato di maudit, nonostante la trama del disco mi suggerisca la ricerca di quiete, di un posto tranquillo ove trovare riparo. Free to Weep è un etereo e traslucido anticipo delle undici tracce che compongono Lost in the Desert, trovando subito un primo apice in Standing in the Light, con la sua aria solenne, un lume di candela nell’oscurità perfettamente interpretato.
Nella parte centrale del disco, affiorano le empatie che esaltano e “celebrano” quel vuoto, a cui RosGos si avvicina con mirabili metafore: To daydream è la sottile linea di demarcazione a colpi di psych-folk che ci trapassa interiormente, mentre nelle aride intenzioni di Lost echeggia un senso di oblio, di sconosciuto, che spesso si congestionava nelle produzioni alternative degli anni Novanta. Mettere su bilancia cosa si è perso e cosa non si è più disposti a perdere: è l’età matura di un uomo ed di un artista, il suo sguardo avveduto, non più ingenuo, ma quello di un sognatore pragmatico. Nelle viscere di Lost in the Desert giace la sospensione, una tabula rasa interiore, senza confini o spazi delimitati, come evocazioni necessarie per attraversare e convivere con quel “deserto”. Oltre i loquaci momenti di tensione (Mary Ann ti spacca letteralmente in due!), s’insinuano ballate concilianti come Sara (una dedica “speciale” alla figlia) o brani in cui la deflagrazione può attendere, come nelle vampe trip-hop Sparkle o negli slide selvaggi di Misery. In coda la potenza atavica di 17, il cui incedere di piano non solo erige atmosfere assolute, ma connette in rapporto simbionte l’uomo con il suo deserto. L’amensalismo e l’individualismo possono attendere.

Lost in the Desert altro non è che una confessione, di quelle in cui s’inciampa una volta sola nella vita. E’ la verità di uomo che fa i conti con sé stesso, senza pretendere indulgenza alcuna, senza ambire castighi autoinflitti. Maurizio Vaiani celebra la vita, dal primo all’ultimo brano di questo disco, usando modalità e generi che più si adattano all’emozione che in quel determinato momento vuole raccontare e dare forma. Un lavoro dall’assimilazione lenta e costante, poiché guardarsi dentro -con l’onesta di poter affogare- non è mai un gioco da praticare con leggerezza. 

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recensito da Poisonheart

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