Circles – RosGos

Vivere di musica è definizione rara applicazione, poiché sottintende una forma concreta, materialmente tintinnante, pragmaticamente capitalista; quando invero le sue intenzioni dovrebbero essere decisamente di natura primaria: la musica come un’eccellente forma di comunicazione per esprimere quello che a parole risulterebbe non del tutto chiaro e definito. Maurizio Vaiani (RosGos) fa esattamente questo: attraverso la propria musica (e le sue personali declinazioni) riesce ad esternare emozioni e sensazioni che altrimenti rimarrebbero imprigionate nella coltre di filtri che individualmente scegliamo di mettere davanti a noi stessi.

Lo si era già abbondantemente intuito nel suo secondo lavoro solita (primo in inglese) come RosGos -recensito con entusiasmo su queste pagine-; Lost in the Desert conteneva già il seme della confessione, filtrata attraverso la capacità di osservare quanto più vicino a noi con occhi maturi. Eppure nel nuovo Circles targato Beautiful Losers, questo viene palesato attraverso un intelligente quanto apparentemente semplice metafora alta. Maurizio Vaiani scomoda il sommo Dante e i suoi nove cerchi dell’inferno, senza tuttavia cadere nello sciocco tranello di aggiornare gli inferi ai tempi del turbo capitalismo. Il tema è giocato di sponda, senza alcuna morale spiccia, senza il grande mono occhio onnisciente: RosGos non si veste da Virgilio, rifiuta il ruolo di guida, semmai scalpita e si sbatte come quei poveri diavoli cacciati (e ricacciati) tra le lingue di fuoco.
Alla mente mi è venuto uno strano connubio tra un moderno e cinico John Doe (il killer di Se7en, interpretato magistralmente da Kevin Spacey) e l’ecumenismo apocalittico southern di David Eugene Edwards. Un peccatore che scruta altri peccatori, che annota nel suo taccuino versi ed impressioni, annullando qualsiasi smania di protagonismo, rendendo muto un altrimenti irreprensibile sermone domenicale. Nessuna profezia, nessun messaggio da decifrare: solo una realtà vera, vissuta, sublimata anche da due anni davvero difficili, ove l’inferno era terreno e mai così tangibile, ove non occorreva un grosso sforzo di immaginazione. Era lì.

Il progetto RosGos non sarebbe tale senza il sodale Marco Torriani (Toria) in veste di consigliere e produttore, abile e mirabile nello svolgere un tappeto sonoro prevalentemente elettronico, minimale, cupo ed oscuro, nel quale sono le sensazioni ad essere peculiari per affrontare con il giusto pathos le spire dell’inferno dantesco. Circles è un concept ad alto tasso emotivo, nel quale la speranza fronteggia le ombre dei nostri tempi ed alla fine ne sembra uscire quasi sopraffatta, eppure riemerge sotto altra forma, rinsavisce in un modo del tutto personale che ciascun ascoltatore codificherà in maniera diversa. La speranza è intensa, arcigna, temeraria tanto quanto lo siamo noi.
Il viaggio infernale ha ovviamente il suo Limbo, che lentamente si evolve e tentenna come un epitaffio caveiano, prima di implodere al minuto 3 in un chorus liberatorio che odora di solitudine e desolazione, già anticipato in maniera evocativa dall’immagine di copertina. L’inferno di RosGos è il luogo delle grandi distanze (sia fisiche, che emotive) e dei grandi vuoti, ove nulla si amplifica all’esterno, ma piuttosto implode plumbeo all’interno. L’inferno è l’infinito attimo di riflessione, non lascia cicatrici visibili, i vizi ed i peccati marciscono nella loro recalcitrante parabola ostinata: è indubbio che assomigliamo a loro, non viceversa! Ogni brano quindi assorbe la natura stessa del cerchio dantesco, senza alcuna esaltazione o afflizione della colpa: Lust si muove sinuosa come una serpe tra effetti di chitarra viscidi ed impertinenti, eppure irreversibili all’orecchio, mentre Gluttony è vivace nella sua libagione di synth, ma non priva di una rovinosa tensione. I richiami alla wave darkeggiante dei primi Eighties sono evidenti -seppur inconsci- in tutto Circles, in particolare Greed sembra rievocare il languore di Pornography o di Faith, ma anche la turgida Wrath sembra -perlomeno nelle atmosfere- cercare nei Killing Joke un irreprensibile mentore.
Heresy ottiene invece riparo nella Albione degli anni Novanta, incastrata tra Bristol e qualche club londinese, evidenziando con gusto squisitamente personale (e reiterato nella successiva Violence) verso un perenne stato d’oblio e di sospensione, tema assolutamente portante in Circles. Gli ultimi due cerchi infernali sono ispirati ai fraudolenti: Fraud (come Lust) è anticipato da un bellissimo e tematico videoclip curato e diretto da Andrea Liuzza di Beautiful Losers nel quale simboli, convinzioni e meditazioni giocano a rincorrersi e confondersi; mentre Treachery si dondola come una lenta ninna-nanna su di un motivetto di densa melanconia: la trasfigurazione della solitudine divampa in un confronto decisivo con la parte più recondita di sé stessi. Oltre, non vi è più inferno alcuno. Solo un faccia a faccia individuale che non teme morale.

Circles è un disco molto ambizioso nella scrittura, in cui ogni scelta è stata ponderata e posata granello su granello. RosGos mette in secondo piano le chitarre affrontando questo viaggio musicale fuori dalla propria comfort-zone, con la curiosità e l’entusiasmo del sognatore, conscio del peso delle proprie riflessioni. Allo stesso tempo, l’etichetta Beautiful Losers confeziona un lavoro elegante (dal packaging alla realizzazione dei due videoclip) completando e sfogando a livello visivo quello che sul piano musicale risulta saturo di plumbea emozione e di ricercatezza. Lo sguardo di Maurizio Vaiani punta oltre l’oscura scogliera di copertina, con gusto e pazienza ci presenta il viaggio infernale dantesco come qualcosa di mistico e di virtuale: i vizi umani in una realtà aumentata non sono altro (e rischiano di diventare) i reel della nostra epoca. RosGos lo ha capito prima di noi e lo ha messo in musica.

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recensito da Poisonheart


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