Hidden – I am Sonic Rain

Hidden - I am Sonic RainIn questo ricco dicembre di uscite discografiche, vale la pena dar un po’ di spazio al terzo lavoro dei trevigiani I am Sonic Rain ed al loro vellutato post-rock contenuto nelle 10 vibrazioni musicali di Hidden (Deep Elm Records). Un disco rarefatto tra sonorità aperte e spaziali, che mantiene quel soffio di malinconia misto ad adrenalina che si sente appena prima di gettarsi da un burrone “sonico”, come questo. Eppure la gestazione del successore di Between Whales & Feverish Lights (2010) è stata lunga tre anni e logisticamente complessa (amplificata dalle distanze geografiche di alcuni membri della band) ma che ha permesso ai I am Sonic Rain di approcciare un metodo di lavoro diverso, ove le idee e le intuizioni attingevano dalle influenze musicali e territoriali di ciascun componente. Libertà di sperimentare che infonde ad Hidden un retrogusto eighties nell’evoluzione dei brani, dall’uso del Suzuki Omnichord (una sorta di autoharp elettronico) ad una cura maniacale negli arrangiamenti verso una dinamica ellittica e molto morbida, integrata anche dall’uso di archi e fiati. Perciò è presto detto come le tre chitarre di Giulio Signorotto, Francesco Vettor e Marco Longo s’incastrino in una matassa melodica che non risente troppo della mancanza del cantato, mentre la ritmica a corda di Federico Cipolla e quella pulsante di Alessandro Carlozzo arrotondano laddove l’onda delle sei corde straripa in vortici “sonici”.

A parte gli ovvi riferimenti a Mogwai o Explosions in the Sky, la musica dei I am Sonic Rain si compone di una vivacità sottopelle che sale in superficie lentamente, lasciando l’ascoltatore in una sottile tensione da thriller, fintantoché un perentorio -e quindi liberatorio- cambio di tempo rilascia le ultime endorfine post-rock. La lieve spolverata orchestrale in taluni brani (ad esempio Nagoro o Aurora), colora di tinte pastello le onde su cui I am Sonic Rain fluttuano senza strappi o indisciplinati saliscendi di volume, poiché l’etica del quintetto sembra essere proprio quello di un’armonia ridondante che si propaga in uno spazio indefinito. L’unico episodio ove il cantato si prende la scena è in Bastille, ove la voce di Andrea Sara rende vagamente radiofonico, un risultato finale intriso di nostalgia e di quel languore che ritorna parzialmente anche nello spoken-word messianico di Sealand. L’influenza d’oriente condiziona sicuramente la struttura di Hidden (vedasi ad esempio la nenia nipponica di Hashima), non solo nelle scelte musicali ma anche in una sorta di riflessione spirituale che, in quest’altra sponda del pianeta, sembra essere sepolta sotto una palese indifferenza. Ad ogni modo il disco vive anche stagioni più criptiche e voraci, dalla oscura Bengala che solo nel finale trova una luce di salvezza, alla nevrosi analgesica di Coba, passando irrimediabilmente per l’incipit rutilante di Tamu, come quasi a concludere un viaggio a ritroso tra ricordi perduti e sensazioni di un costante déjà vu.

Dalla maestosa autoproduzione, Hidden vede anche la collaborazione di un “guru” come Alan Douches nella fase di mastering (The Dismemberment Plan e LCD Soundsystem, ad esempio), rendendo ancora più fluido il risultato finale di un disco davvero godibile e condensato come pochi. Probabilmente la meritata consacrazione per gli I am Sonic Rain.

I am Sonic Rain facebook
Deep Elm Records facebook

recensito da Poisonheart

 

Share

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.