“Heroes” – David Bowie

La coppia Bowie-Visconti produce uno dei capitoli più discussi della carriera dell’ex Duca Bianco, ossia “Heroes” (1977 e virgolette doverose), secondo capitolo della ‘Trilogia Berlinese’ (per saperne di più, leggi anche qui). Nell’avventura tedesca s’intrufola pure Brian Eno, che scrive e s’ingegna abbastanza (sia a livello di liriche che compositivo) per entrare nei crediti del disco. Caratterizzato da tinte musicali forti e da una palese influenza verso l’elettronica tedesca ed in particolare verso gli sperimentatori per eccellenza: i Kraftwerk e i meno noti Neu!. Non solo. “Heroes” riporta in qualche modo un malessere appena accennato, lontano dal rumore punk che stava esplodendo, un Bowie lungimirante guarda oltre ed è già  immerso negli anni ’80, con tutte le ambiguità che ne conseguono. Quella decadenza presa come ispirazione dai ‘Racconti Berlinesi’ di Isherwood, tocca l’apice, tuttavia non esplode immediatamente. Il disco è complesso da ascoltare, ma per chi ammira Bowie questa non è una novità,  prende delle strade del tutto nuove, esplora in profondità, a volte in maniera del tutto incomprensibile, ma alla fine convince.

Heroes -David BowieThe Beauty and The Beast è un intricato labirinto elettronico in cui le influenze dei maestri tedeschi sono evidenti, tuttavia l’accento bowieiano rimane della modulazione vocale e in quell’acenno funky: la chitarra di Robert Fripp (King Crimson) e il sinterizzatore di Eno sfumano il carattere pop del brano, imprimendo un ritmo meccanico, quasi industriale.
“Heroes”, probabilmente una delle più famose di Bowie, prende spunto dai Neu! e dalla loro ‘Hero’. L’atmosfera berlinese c’è tutta e la voce del Duca è decadente come non mai. « Though nothing will / Drive them away / We can beat them / Just for one day» non smorza di certo la tensione del brano, che si concede a qualche briciola warholeiana con «We can be Heroes / Just for one day»; una sorta di rivisitazione dei ’15 minuti di popolarità’. Tuttavia nonostante l’aria solenne del brano, non si vuole celebrare niente e nessuno: l’imponenza del muro fa da sfondo ad una storia d’amore segreta e nascosta (lo spunto arriva da un incontro amoroso clandestino tra Visconti e Antonia Maass). Questa canzone rimane certamente nell’albo delle più conosciute di Bowie, grazie anche alla sua onnipresenza nel film Christiane F. (Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino).

Joe The Lion suona molto rock, senza contaminazioni; è invece la voce di Bowie a farsi elettriconica. Le atmosfere grigie (attenzione, non deprimenti!) ritornano con Sons of the Silent Age che ricorda vagamente i fasti di Ziggy Stardust, anche se ritornano imponenti i fiati finora latitanti o solo comprimari. Cinica e dissoluta è Blackout, in cui il piano fonde la sua melodia con il synth, in un brano oscuro che rievoca l’episodio delle 25 ore senza corrente elettica nella metropoli newyorkese. Piacevole all’ascolto e schizofrenica  al punto giusto, con sottili paralleli alla vita dello stesso Bowie.: «The weather’s grim, ice on the cages / Me, I’m Robin Hood / and I puff on my cigarette».

Nel lato B fanno capolino una serie di “esperimenti” prettamente elettronici senza testo, passati sotto il trattamento Eno. La più significativa è il tributo a Florian Schneider (fondatore dei Kraftwerk) ossia V-2 Schneider con un giro di basso ammiccante ed inconfondibile. Atmosfere da thriller della repubblica di Weimar in Sense of Doubt, la sensazione è di esser approdati in una cripta oscura con solo flebili lampi di luce. Poi spazio alla fantasia e all’eclettismo di Eno, Moss Garden la cui memoria va direttamente al Giardino dei Muschi di Kyoto, e Neuköln una cupa danza dal sapore orientale in omaggio alla comunità turca.
The Secret life of Arabia chiude il disco in maniera imprevedibile, passionale e calda grazie anche ai cori di sottofondo di  Antonia Maass.

Ultramega celebrato ed oggetto di molte chiavi di lettura, Heroes” tuttavia è un disco intricato (in bilico tra un tributo all’elettronica tedesca e un approccio ‘veggente’ di quello che saranno gli anni ‘80) con  sicuramente ottimi spunti e una hit che è entrata nella storia della musica.

 

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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