A Casa Tutto Bene – Brunori Sas

Arrivato al quarto disco in carriera, Dario Brunori raccoglie l’esperienza dei suoi quarant’anni (da compiere a settembre), accantona parzialmente l’ironia endemica del suo modo di scrivere e ci aggiunge quella recidiva disillusione dell’età adulta, come una visione in prospettiva della vita e delle maniere che la regolano. In A Casa Tutto Bene ci sono parole ragionate, messe al loro posto con intelligenza melodica, ma anche con quel retrogusto di sconfitta verso un eterno sognare che si è un poco sopito: le responsabilità ed il rapporto con il tempo camminano paralleli con il tramonto di una qualsiasi forma di spensieratezza. E pure qualche flebile timore personale.
Eppure Dario Brunori ci ha sempre raccontato un pochino di sé, anche attraverso le storie che negli anni ha saputo raccontare con ilarità mascherata da leggerezza. Nelle formule dei 3 volumi precedenti, il cantastorie Brunori Sas aveva dapprima indugiato sull’infanzia e la giovinezza nel folgorante esordio di Vol. 1 (leggi recensione), per poi approdare ad una forma canzone più sociale (ma non necessariamente politica) di Poveri Cristi, ed infine indagando nell’effimera idea della spiritualità ne Il Cammino di Santiago in Taxi. Lo strappo compositivo si scoperchia in maniera definitiva con A Casa Tutto Bene, non solo per una ritrovata dolce amarezza delle liriche, ma anche per soluzioni melodiche più levigate e stratificate: gli arrangiamenti sono eleganti, ma non stucchevoli né prevedibili, relegando a volte i tanto amati fiati da musica leggera a semplice corredo.
Nell’ascoltare ciascuna delle  12 tracce del disco, sovviene una delicata influenza del cantautorato d’altri tempi, con echi distinti -ma di feroce profondità- alla De Gregori, che spesso s’intrecciano a quella smania da menestrello, marchio della Sas di Dario Brunori. La verità esce come singolo nel dicembre scorso, ad anticipare l’uscita di un disco per certi versi rivoluzionario rispetto alla precedente discografia; eppure già nell’intro lungo e ritmico si delineano i segni di questa meravigliosa evoluzione. Un faccia a faccia spietato con le proprie abitudini ed il proprio divenire, quasi come a voler scuotere quel confortevole rifugio di stantia stabilità, che inesorabilmente puzza di ipocrisia verso se stessi; il chorus finale abbatte immediatamente qualsiasi barriera ed arriva dritta al culmine del dilemma:

«La verità
è che ti fa paura
L’idea di scomparire
L’idea che tutto quello a cui ti aggrappi
prima o poi dovrà finire
»

A Casa Tutto Bene Brunori SasIl rapporto con il tempo che passa, tuttavia non è il tema centrale del disco, ma anzi una diretta conseguenza di quelle paure e di quei timori a cui un individuo s’avvinghia per così tanti anni e talmente bene, da farne parte integrante della propria esistenza. L’uomo nero né racchiude alcune di queste (lo spunto è Povera Patria di Battiato), delineando lo stereotipo dell’uomo qualunquista e politicamente conservatore, che sfugge appena alla demagogia di partito, quando Brunori schernisce anche se stesso con grande sincerità: «E io, io che pensavo che fosse tutto una passeggiata, che bastasse cantare canzoni per dare al mondo una sistemata». L’autocritica viene addirittura rincarata in Canzone contro la paura, «Scrivo canzoni poco intelligenti che le capisci subito non appena le senti», con la solita dose di citazioni sagaci e quell’indomabile vizio dei cori finali. La prima quaterna eccellente si chiude con la frizzante e vintage Lamezia Milano, uno spaccato senza peli sulla lingua della nostra vuota quotidianità che ruggisce nel ritornello: «Con il terrore di una guerra Santa e l’Occidente chiuso in una banca …», mentre gli arrangiamenti si muovono verso un pop tribale secco, ma molto folkloristico.

Dario Brunori calca la mano con l’avanzare dei minuti, e sia nella controversa Colpo di PistolaUscire dalla sua bocca dorata / Prima l’ho uccisa e dopo l’ho baciata») sulle meccaniche maschili del femminicidio, sia nella poeticamente triste Diego e io, il cantautore firma un dolore vivo e vorace, che inghiotte corpo e mente, ma senza tuttavia annichilire l’ascoltatore. Il tono intimo ma audace, conferisce al cantato un qualcosa di onnisciente che vibra sopra la morale e sopra i giudizi, arrivando con (forse il miglior pezzo del disco) La vita liquida alla metafisica emotiva. Musicalmente quest’ultima mostra le doti melodiche più coraggiose (a coadiuvare la produzione c’è Taketo Gohara), che volteggiano verso un minimalismo che non disdegna effetti digitali ed un dolce onirismo del tutto inedito per Brunori (ma a cui non rinuncia ai soliti cori di sottofondo).
Il Sabato Bestiale ritorna sugli stereotipi umani e sull’attualità che piega tutti alle proprie assurde storpiature, mentre Don Abbondio si evolve con un passo disinvolto tra l’oblio del cantato iniziale e la nenia acustica del suo strano divenire, giocando su un flusso di coscienza che nel finale del disco tocca apici di emotività ed immedesimazione.
Ne Il costume da torero fa di nuovo capolino il rapporto con l’infanzia e la geniale soluzione stilistica di inserire cori fanciulleschi a rincorrere Dario Brunori nella sua quieta ed esilarante rivoluzione: «La realtà è una merda ma non finisce qua»; mentre in Secondo me avviene un altro interessante confronto con le proprie inclinazioni egoistiche, scovando ad una ad una tutte le insicurezze che -facendone un fagotto- vengono affogate in una pozzanghera di umiltà: «Secondo me, secondo me, e scrivo al mondo solo secondo me / Chissà com’è invece il mondo visto da te».

Pochi cantautori hanno saputo fare questo, ridimensionare la propria ludica critica, sentendosi prima di tutto uomini e poi raccontatori di storie; Dario Brunori ci riesce con credibilità, con sincerità e senza risultare stucchevole o vanitoso. Nella finale La vita pensata c’è un dialogo interiore che non merita ulteriori spiegazioni o parole, ma solo il pregio di essere ascoltata in religioso silenzio (come quei 20 minuti del quarto lato dell’edizione in vinile, ove la puntina del giradischi cala su solchi muti, in una trovata naif ed ironica allo stesso tempo).
Per concludere, A Casa Tutto Bene è semplicemente uno dei dischi più belli, intensi e veri degli ultimi dieci o quindici anni di cantautorato.

recensito da Poisonheart

 

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