The Wounds (part II) – Post Hoc

Sempre su queste pagine, poco più di un anno fa si parlava del progetto lo-fi di Giuseppe Bortone e di un probabile sequel di The Wounds I (leggi recensione): con quello stesso atteggiamento minimale e felino, ecco altre cinque ballate stralunate ed acide nel fedele e promesso The Wounds part II.
Post Hoc - The Wounds part 2Stavolta Post Hoc di nero vestito, approfondisce atmosfere vitree ed astratte, coinvolgendo ed incastrando forme diverse fra loro in una massa che diventa armonica e dissonante allo stesso tempo. Grovigli sonori nati e pensati come sperimentali, ma con una logica rigorosa ed uno studio sottile ed accurato alla base, a ribadire che lo-fi non è improvvisazione, né causalità, ma riguarda piuttosto un’etica che sceglie la primordialità dei suoni per intonare melodie dirette e precise. Perciò la “bassa-fedeltà” diventa un canale preferenziale per raggiungere ed avvolgere l’ascoltatore, trovando nelle ataviche persuasioni del post-punk del 1978 alcune e notevoli ispirazioni, senza tuttavia dimenticare una passione endemica per soluzioni caleidoscopiche e seventies. In questo caso Post Hoc sceglie deliberatamente una strada più digitale, abbandonando (ma attenzione, è tutto un trucco!) influenze psych, per costruire una musica più oscura e sinuosa lungo beat soffocati, chitarre affogate in un groove maculato ed un cantato evocativo, come nella spaziale Instant, piccolo gioiello di sonorità fragili ed indefinite.

Eppure The Wounds II aveva esordito con un post-punk rutilante, stretto in mezzo tra iati sparsi dei Fall più sfacciati ed un isteria bubblegum dai balzi sixties: Smile! è la festa delle policromie sonore di Post Hoc, illogica, avvincente, ballabile. Tuttavia, in questa ricca tavolozza, sono riconoscibili le mille sinapsi di una ricerca spasmodica per ottenere un sound immediato attraverso strade assolutamente indirette: prassi portata ad estreme conseguenze in Traffic Light + I Don’t Known, una nenia di 7 minuti che combina feedback ellittici, una ritmica ossessiva e ciondolante, con rintocchi sparsi di pianoforte e d’archi lontanissimi. Geniale pure il blues in putrefazione di Lost in a Jim Jarmusch film, nel quale le atmosfere diversamente noir del visionario regista tornano immediatamente alla memoria. In chiusura una raffinata e cristallina melodia pop risale stonata in Cause It’s you, distruggendo qualsiasi retorica alternative-rock, fondendo ancora una volta elementi inconciliabili (tra vivacità e tenebra) nella medesima ballata in naftalina.

Ispirato e solido, The Wounds part II è il dark side ideale del suo predecessore, nel quale si possono facilmente delineare i progressi e le curve pericolose che una sperimentazione così marcata comporta. Se nella part I resistevano risacche flower-power, in questo episodio, Post Hoc supera le endemiche tentazioni psichedeliche, erigendo nuovi termini melodici verso una musica totale e trasversale, in un concept che nell’ascolto sequenziale dei due episodi regala un rivelazioni sorprendenti, forse anche allo stesso Post Hoc. Avveniristico.

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recensito da Poisonheart

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