Il Tempo dell’Inverso – Twang

E’ dai primi secondi de Il Branco –quell’incedere ritmico che sembra anticipare il deflagrare delle chitarre- che  i Twang travalicano, osano sui generis, corrono veloci oltre il filo spinato delle costrizioni. Non è la rabbia a guidarli (quella oramai fa parte della conformità), non è un urlo che esce dallo stomaco, né le ballate dal balcone o l’astinenza da palco di questo terribile presente. E’ la medesima ragione che spinge a far uscire un disco in un 2021 ancora avido di quella normalità che tutti bramano, ma che in pochi hanno il coraggio di riaffrontarla di petto, fissandola negli occhi, pronti a sfidarla. Tutto sembra a rovescio, lo pensano e lo cantano i Twang,  combattendo una sindrome di Stoccolma verso conformismo, mediocrità, l’allineamento.
Gaia gioia nel risentirli oggi, da quel lontano 2017 nel quale l’ep Nulla si può controllare, gettava il germe della controtendenza, le movenze c’erano tutte, ma lunga e da definire era la strada per isolarsi dal mucchio. Una buona dose di ilarità c’era allora, e c’è pure adesso con i muscoli e le cicatrici; antidoto in controtendenza rispetto a certi iati indie-pop, a synth gettati come dadi, a gargarismi di autotune. Eppure, oltre a confermare tali sensazioni di rottura e di non-ritorno, il quintetto torinese è andato oltre, confezionando con Il Tempo dell’Inverso, una sorta di concept poliedrico, ove l’idea centrale è l’estraniarsi, il navigare controvento, l’osservare con lungimiranza le palesi storture di un presente paurosamente distopico. Simone e Moreno Bevacqua, Bartolomeno Audisio, Federico Mao e Luca di Nunno concorrono ad una intelligente macedonia di stili e suoni, amalgamati grazie ad un know-how via via sempre più preciso e nitido: allora i ruggiti nineties delle chitarre a braccetto con intuizioni psych, dinamiche funky affogate nell’immediatezza folk e nello spleen del blues, liriche pungenti cantante con affabile complicità.

Rapaci nel rileggere il proprio tempo, i Twang seguono le proprie intuizioni, dipingendo in 10 tracce un presente perentorio, schiacciato dalla cupidigia e dalla libido del potere, ove la fiammella della speranza risiede nella capacità di resistere, dei rebels with a cause, che hanno scelto una strada ripida, ma che non mollano un centimetro delle proprie convinzioni. E come quasi a confermare tale inclinazione, l’evoluzione dei Twang passa proprio per questa tempra empatica, la cui profondità ed ostinazione non lascia margini di incompiutezza. Pazienza se il percorso non appare lineare all’ascoltatore medio, pazienza se le dinamiche gorgheggiano repentine ad ogni brano, facendo convivere personaggi tanto diversi (da Frankenstein Junior ai bucanieri da supermercato) in liriche dal sapore acre e provocatorio. Spazio pure alla soddisfazione di vedere i due singoli finora estratti (la title-track e Attacco) sottoposti alla “cure” prima degli Abbey Road Studios in fase di mastering, poi al Real World Studios di Peter Gabriel per il missaggio finale; ma è la premura con cui viene confezionato l’intero lavoro ad esaltare gli animi più nostalgici di un disco fatto come si deve da capo a fine. L’intelligente stesura della track-list, le liriche come sassi gettati nello stagno creando brevi tsunami in miniatura, la qualità, le idee, il percorso dei videoclip girati per i due singoli. La spinta motivazionale di Alessandro Ciola (produttore e primissimo sostenitore del quintetto) ha sicuramente agevolato un percorso già nelle corde dei Twang, che non solo superano la prova di un long-playing registrato con minuzia di particolari agli Imagina Production di Torino, ma trovano lungo questo percorso uno stile unico e personale, frutto di quel osare insito tra le righe de Il Tempo dell’Inverso

Nel background dei Twang ci sono davvero moltissime influenze ed esperienze, apparentemente difficili da incanalare in un lavoro omogeneo. Per una volta, il ventaglio delle possibilità è un punto di forza: i fiati nella languida Esilio, le tintinnati atmosfere di Caverna, la tempra sconnessa di Colpevole, sono tutte prove della attitudine di trasformare in musica qualsiasi spunto, qualsiasi idea. I brani de Il Tempo dell’Inverso sembrano puntare all’isolamento come atto di resistenza passivo, eppure l’ironia serpeggia con sinuosità, rivelando solo dopo qualche ascolto, la natura reazionaria di un disco che vuole superare la deriva buonista, combattendola con le stesse appuntite armi, vestendo panni edulcorati sotto una flemma rivoluzionaria.
Questo mi è parso di scorgere tra le mille forme de Il Tempo dell’Inverso, un gioco di specchi, suoni, umori, parole tanto originale da rischiare di catalogare in maniera errata un lavoro spregiudicato, affamato nel dire la propria, visionario nella sua astrazione musicale. Sì, i Twang hanno sbroccato, lo hanno fatto nel modo in cui qualunque band desidererebbe farlo. 

Twang sito ufficiale
Twang facebook
Twang youtube

recensito da Poisonheart

 

Share

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.