The Flood – Onceweresixty

Nella seconda metà dei 2.0, un po’ infatuati dal revival rock d’Albione (incoscientemente passato alla storia come indie-rock), anche nel Belpaese abbiamo provato a fare gli “indipendenti”, in maniera un po’ sprovveduta, un po’ geniale. Tra i tanti tentativi -quelli buoni s’intende- pure i vicentini Mr.60, immolati dalla Uglydog Records nel diffondere il verbo lo-fi, oltre i colli, verso la pianura, magari pure in città. In quello sparuto e coraggioso gesto, le velleità di Luca Sella e Marco Lorenzoni trovarono ispirazione da spendere dieci anni dopo, sotto altre aspettative, con approcci completamente nuovi. I due si rimettono in gioco reinventandosi, riprovandoci sotto l’ascendente del suono plastico dei synth e delle atmosfere rarefatte. Nascono così i Onceweresixty, che non mettono in soffitta lo spirito incosciente della giovinezza, ma lo rimodellano su altri fronti, pescando da un caleidoscopico revival Sixties e suonandolo con il minimalismo che permeava alcune produzioni di nicchia dei migliori Nineties. Nell’usare l’iconografia hippy (arcobaleni, piccoli van scassati, il tema del viaggio perenne), i Onceweresixty disegnano un presente cinico ed arrivista (piuttosto fedele a quello che viviamo quotidianamente), ma nel contempo custodiscono gelosamente una spiritualità in technicolor, una visione delle piccole cose, genuina, nostalgica, fanciullesca. 
Onceweresixty - The FloodThe Flood esce il 17 settembre 2021 con lo sforzo congiunto di Uglydog e Beautiful Losers e si compone di nove camaleontici brani che rivisitano un jingle-jangle byrdisiano con essenziali innesti elettro-psichedelici. La forma canzone si porta appresso un classicismo da songwriter scapigliato, con quei chorus ariosi, malinconici, intrisi di una disillusione che si sottrae alla distopia. Nella dimensione live a Marco Lorenzoni (voce, chitarra, e non solo) e Luca Sella (percussioni e non solo), si aggiunge la variabile impazzita Enrico Grando, nato come chitarrista e delegato ai synth, che rimescola le carte verso un riformismo vellutato. Eppure, a rendere particolare The Flood è un paventato senso d’incompiuto, un retaggio d’infanzia, un percorso obliquo che i Onceweresixty intraprendono zigzagando sul loro van. Ho colto così quello che mi è parso un indizio: al 00:51 di Take me home, l’orecchio s’impenna su un “chhssssh” di charleston in controtempo rispetto alla coda del cantato. l’ho avvertita come un’increspatura, uno squarcio inatteso, una dissonanza che apre ad una diversa e nuova dimensione. E che mai si ripresenterà. Un portale d’accesso a tempo, in cui è meglio tuffarsi in fretta e senza indugi. E’ da qui che l’ascolto di The Flood si fa diverso, accattivante, a tratti persino avvincente. 
Summer è un altro episodio godibile, nel quale evaporano rintocchi cangianti alla Ray Davies, miscelati tra echi e tastierine ed un’arpeggio ferragostano di sei corde: sospesa, stranita, è la spettinata Sunny Afternoon dei Onceweresixty. Se Delivery Boy evoca vampe alla Gene Clark con un picco glicemico di un Damon Albarn in fregola (ammesso che sia possibile!), la title-track (con un bellissimo videoclip homemade che vi invito a vedere/ascoltare) è il genuino manifesto di un modo di intendere l’etica della musica. I Onceweresixty evitano il cliché del tema all-around-the-world, all’insegna del mito della libertà contro l’ oppressione del vivere moderno o dell’avventura come necessità di vita ; il loro è un viaggio dello spirito, tra gli anfratti della memoria, nel quale si può trovare di tutto, dalla robaccia da dimenticare alle libagioni da evocare.
Six Six Sixty (e quello sfrigolio dinoccolato alla Revolver) e l’iniziale All I want indugiano sulla cadenza pop-psichedelica, mentre le conclusive Rocksong e Anotherpopsong assorbono influenze simili, aprendosi in svolgimenti opposti e complementari, esplorano con arguzia i meandri d’avanguardia e non disdegnando l’idea goliardica del gioco, sempre centrale nell’esplorazione di The Flood. 
Lascio per ultima (anche se non ultima in tracklist) Sunday, un’acidula ballata intimista che sembra quasi anticipare l’ultima tappa del viaggio di The Flood, verso una mirabolante oasi per riprendere fiato. Un riparo meditabondo, scandito dalla lentezza e dalla riflessione, che serve a prendere consapevolezza dell’esperienza del percorso fin qui compiuto.
Quello dei Onceweresixty è un viaggio alternativo, ed in un certo senso, The Flood è proprio un peregrinare concentrico, che ci allontana dalla realtà per abbracciare la dolcezza del ricordo e di come lo fondiamo con la fantasia del bambino che giace in fondo ad ognuno di noi.  

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recensito da Poisonheart

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