Il Manuale dell’Insonne – Gin Lane

In questa Verona e periferia, degradata dalla retorica e da una rivisitazione tanto stonata quanto popolana, nel quale Romeo & Juliet si conoscono ad un happy-hour e bevono dalla stessa cannuccia; c’è ancora, nel torbido luccichio di calici colorati, qualcosa di salvabile, qualcosa che mantiene autenticità e passione per la musica e per l’arte.

I Gin Lane garantiscono sempre la quotidiana dose di british-indie, almeno fintanto che spira il vento, tuttavia ciò che li differenzia brillantemente dalla massa è una concezione meno ballabile e più concreta della forma-canzone. Scomodando la memoria di Luigi Tenco, cantando dell’amor perduto, cogliendo reminiscenze da maudìt, in liriche piuttosto mature, che non si lasciano andare in pubescenti lamenti o in sovversivi richiami socialmente inutili! Una miscela amara di rock dagli intenti aulici, veloci e compatti nello stile che ‘smells like’ di anni anni novanta, richiamando spesso pillole e citazioni sempre parzialmente celate da un lucido cinismo da cecchino mercenario. Un quartetto dagli strumenti ben affilati che pur tuttavia, non inventando nulla di musicalmente nuovo o tecnicamente eclatante, contano su uno schema semplice e diretto, orecchiabile ma senza menate o propagande da social network. Dalle corde agitate con passione e talvolta con rabbia da Elia Ambrosi (chitarra) e Davide Benato (basso), ai battiti decisi delle percussioni di Federico Zocca, sino alle liriche maniacali di Matteo Bergamin: un Brian Slade moderno dalle velleità poetiche. Tutto ciò si riassume ne Il Manuale dell’Insonne, una sorta di lullaby sentimentale dai forti cenni anacronistici.

Il passato obbligatorio di cover band sul genere indie, si fa sentire in Il battello ebbro; singhiozzante ballata dal ph decisamente acido, nel quale la band mette assieme Le Batteux Ivre di Rimbaud con il leggero funk altalenante delle ‘Scimmie Artiche‘ di Sheffield. Maggiore personalità invece in Vivo/a il degrado, malinconico j’accuse sulla difficoltà di relazionarsi (e di questi tempi è una vera e propria malattia), immerso nel catrame di un rock autistico sempre in attesa della crisi finale o fatale.
Nell’intro blueseggiante di Vaneggi c’è tutta la confessione artistica dei Gin Lane, che cantano con nostalgia i tempi passati, forse mai vissuti o solo immaginati: dal fottere con disprezzo la Winehouse (come i Mudhoney con Brooke Shields: segno che i tempi sono cambiati!), al rievocare i Bluvertigo di Metallo non Metallo, dall’amarcord di tutta la generazione di cantautori genovesi e non, alla lucida memoria del Signor G. passando per il glam seventies da Factory.

La Vertigine e il Carnefice è il brano più prezioso dell’ep, un languido risalire la corrente dai ritmi lenti, concisi, sofisticato nei versi, un flusso di coscienza libero da inibizioni, e da facili critiche. Una ballata dagli accenti forti, che fa intravedere un buon talento per le parole e per la loro associazione di idee.
I Gin Lane seguono, infatuati, quella musica leggera italiana, che a dire il vero non era poi così leggera nei contenuti, puntando molto sulle parole e sul proprio paroliere. A me sembra un ottima strada da seguire …
Da tenere d’occhio, ma stavolta per davvero …

 Gin Lane myspace

recensito da Poisonheart
 

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