ALBUM – Bombay

Forse lo confesserebbe lo stesso Bombay, ma diciamocelo, lavorare con una band ed abbandonare l’approccio handmade voce-chitarra, era un passo quasi obbligato all’imbrunire della parabola it-pop, sicuramente funzionale ad un’evoluzione artistica come naturale fortino/protezione contro qualsiasi forma di involuzione, appagamento o peggio ancora regressione. L’indie di “borgata” firmato Bombay possedeva già peculiarità ben definite, esposte con semplicità e genuinità nei tre lavori precedenti, elaborati sin dall’esordio nel 2015 e di cui ho avuto il piacere di recensire Ritratto di Bombay (2017, leggi qua). Storie di vita in bilico tra uno sgualcito lato moraviano ed un endemico nuvolone fantozziano carico di pioggia sopra la testa: certo, il saper ridere delle proprie idiosincrasie era spiccato e ben determinato, eppure indizi di una posata disillusione s’intrufolavano obliqui in ballate easy-pop di sola chitarra.

Se spensieratezza era, sicuramente indossava un bel vestito ed un trucco insospettabile; nelle liriche di Bombay il dolce-amaro veniva cantato con il sorriso sulle labbra e con un bel ritornello squillante ed abbastanza orecchiabile. L’inesorabile confronto con la realtà, l’incalzare delle responsabilità dell’età adulta o la paternità, hanno influenzato in maniera decisiva la stesura di questo ultimo lavoro. Proprio per la coralità delle composizioni nel formato band -Marco Mirk alle percussioni e da Giacomo Nardelli al basso, ma pure le incursioni di Ilaria Graziano e Francesco Forni tra voce e chitarra, ed ancora Stefano Ciuffi o il sax di Umberto Smerilli-, per la coesione d’insieme, il nuovo disco non poteva che chiamarsi semplicemente ALBUM (per Artist First). Una sorta di omaggio alle ultime risacche independent che in questo nuovo formato si decongestionano, trovano motivazioni diverse, a tratti pure più articolate, perdendo solo apparentemente quell’indole umorale ed imprevedibile. Sottopelle, pure un diverso rapporto con la gestazione delle canzoni, Bombay (coadiuvato da Edoardo Petretti) si mette al servizio della band attraverso un reciproco scambio di idee, di metodologie di empatie, in un’ulteriore forma alternativa di paternità verso le proprie creature liriche. Le armonie sono più tornite, gli accenti sono puntuali (vedi Poseidone), il senso attorno al disco assume una posa nuova, più matura, meno condizionata dell’estemporeneità. Personaggi di quartiere, quelli che trovi sempre sul solito muretto sotto casa, amici ed ex-amici, animano la commedia di ALBUM, sviscerando gioie e delusioni, talvolta incastonati nello stesso fermo-immagine. Non ci sono brani che spiccano su altri (oddio, Gli Amanti o la freschezza de I nostri bambini, ti rimangono appiccicate addosso), poiché legate da un comune flusso di coscienza che si svincola dalla solita narrazione sbilenca verso vampe micro-generazionali. Qui, è l’esperienza personale, il vissuto che esala emozioni, lividi, incertezze: c’è prima l’uomo con i suoi fardelli e semmai dopo l’artista che li razionalizza e li trasforma in strofe e versi. Brani come Francesco  o Il cielo questo pomeriggio sono da intendersi anche in questo senso. Nella nuova musica di Bombay, ma in generale nell’intera sua produzione, è il lato intimo a sciogliere le barriere con l’ascoltatore, a condensare e condividere certi stati d’animo nel modo più nudo e vorace possibile. È questa la sua discriminante, ciò che lo rende unico e riconoscibile. Piacevole.

Semmai, il rischio è di cadere nell’errore di considerare ALBUM frutto di un processo di transizione dall’amatore indie con le sue canzoni da cameretta all’artista scafato da studio, sciogliendo quel filo diretto con le proprie composizioni, per approdare ad un punto di vista più “alto”, più progettuale, più mentale. Un passo così deciso, così evolutivo, presuppone un tratto di continuità nel prossimo futuro, senza tuttavia rinnegare risacche di un passato nel quale l’etica indie veniva presa come la fresca sagra delle intenzioni più autentiche. ALBUM quindi detiene l’istinto primordiale del passato e lo “abbellisce” con un vestito sonoro incline alla versatilità, ponendo una serie ipoteca sulle prossime aspettative artistiche e personali. In fondo, la vita è la più importante fonte d’ispirazione.

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recensito da Poisonheart

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