Pilot – Steven Lipsticks and His Magic Band

Avevamo lasciato Stefano Rossetti ed il suo alter-ergo slacker Steven Lipsticks al lontano 2015, con l’omonimo esordio autoprodotto (recensito ottimamente su queste pagine) che profumava tanto di un precario Slanted and Enchanted quanto di un redivivo Up for a Bit with Pastels. In questi lunghi anni -fatta eccezione per la parentesi delle ballads malinconiche di X-Mas Songs del 2018-, le sue attitudini indipendenti non sono cambiate, anzi vengono reiterate nel nuovo lavoro, Pilot, uscito il luglio scorso (su cassetta per More Letters Records).
Pilot - Steven Lipsticks and His Magic BandIn segno di continuità con il passato, Steven Lipsticks rispolvera la vecchia ed immaginaria “Magic Band” con la quale compone e suona praticamente tutto, con pochissimi aiuti esterni. E’ un bel rifugio quello di Stefano Rossetti, che riesce a districarsi dalle intemperie del quotidiano costruendo in autonomia mattone su mattone le proprie canzoni: un invidiabile controllo totale e completo sul progetto musicale. Guida e condizionamento sono temi basali in Pilot: Steven Lipsticks sembra – o perlomeno ci fa credere – di essere perfettamente abile a scindere il lato personale da quello puramente artistico, cioè di rendere indipendente l’opera dal vissuto del suo autore. In realtà è una mirabile metafora che ne dimostra proprio il contrario. Uomo ed artista ed i suoi secolari gradi di separazione. Allora, è evidente come sia proprio questo il nodo cruciale e la contraddizione in seno a Pilot, che s’interroga sui rapporti di forza tra il reale e l’immaginario, tra l’azione ardita del pilotare e l’inconscio assoggettarsi alla guida altrui, i cui margini sono spesso molto sottili e labili. Invero, Pilot contiene tutta l’esperienza, le perplessità, le ambizioni di Steven Lipsticks, che nel tentativo di districarsi dall’incombente ombra del suo mentore Stefano Rossetti, finisce per fondere e confondere i due universi opposti: un modo personale ed empatico per sciogliere così tutta l’angoscia generata dall’estenuante gioco di ruolo del creatore/creatura. L’esercizio che compie è perciò molto attuale, poiché tocca indirettamente la delicata sfera tra ciò che è personale e ciò che sacrifichiamo alla condivisione, con tutte le implicazione sociali ed emotive. Nel disco non vi è tuttavia nessuna ricetta per sopravvivere al presente, semmai Pilot appare come il genuino tentativo di resistere all’omologazione, di non cedere alle persuasioni dei social-network, ad un’estetica sempre più di massa, incolore, priva di schegge impazzite.

Musicalmente parlando, i Nineties irrompono con tutto il loro fragore punkeggiante nella tracklist di Pilot, che scorre leggiadra in 11 brani dai forti connotati indipendenti e con lo squisito gusto per il power-pop. L’imperativo delirante di No Jokes! sembra mettere subito in guardia l’ascoltatore ed in poco più di 2 minuti condensa un’adrenalina ispirata dal punk newyorkese con tanto di intramezzo tratto da un’intervista del giornalista Stephen Maclean a Lou Reed nel 1975. Ne rimarca l’impeto il brano Pilot posizionato a tre quarti del disco, come a infierire nostalgicamente con una pillola punk-rock iridescente.
Nella musica di Steven Lipsticks la costruzione della canzone è diretta ed immediata, probabilmente esce fuori così come è stata composta e pensata la prima volta. Se l’architettura dei brani può apparire semplice (poi mica tanto, ascoltare per credere Holter e la drum-machine martellante di Giacomo Giunchedi) questa non deve essere confusa con opache conoscenze musicali, anzi l’intenzione di Steven Lipsticks è quella di essere il più trasparente e diretto possibile. Inoltre, appare evidente l’impronta DIY nella composizione, in ossequio a idoli come Paul Westerberg e Stephen Malkmus: Needs, Home, la bellissima The Nest e soprattutto l’ottima Options ne sono esempi lampanti e ben riusciti.
Steven’s Problems è l’ironica cavalcata catchy in terza persona che assieme alla lenta ballata di Real Good Man toccano con maggiore personalità le trasversali tematiche dell’intero disco, spostandone le coordinate stilistiche verso sonorità più pop. Ma Pilot non è un disco di sola chitarra e l’utilizzo intelligente dei synth nella tenebrosa (Don’t Be) Uptight è la conferma delle abilità compositive di Steven Liptsticks, che nel finale del disco intraprende con Late at Night percorsi velvetiani, la cui sincerità lascia nudo l’ascoltatore.

Con abiti casual, Pilot si presenta come un sincero concept-album depurato da manierismi e propensioni autoreferenziali; anzi Steven Lipsticks racconta con affabile gusto le proprie (dis)avventure personali, senza il vincolo di ricercare una morale da sacrificare all’altare dell’esperienza. Diretto e libero da schemi, Pilot è il genuino istinto di fare musica ed è la cosa più vicina alla mia idea di essere  indipendente!

 

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recensito da Poisonheart

 

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