Warehouse: Songs and Stories – Hüsker Dü

Il manager degli Hüsker Dü, David Savoy, si suicidò il 7 febbraio del 1987, quando Warehouse: Songs and Stories era già bello che registrato e pronto per essere distribuito nei negozi. Di fatto questa data segna the beginning of the end definitiva degli Hüsker Dü, che già durante le sessions del loro sesto disco, avevano palesato grandi tensioni tra Grant Hart e Bob Mould. Un ruolo quello di Savoy da mediatore -nonostante discreti problemi di droga- tra le due anime degli huskers, un po’ come fu Brian Epstein per i Fab Four, a differenza che nel punk hardcore tutto è più rapido, traumatico e veloce, compreso un incontrovertibile scioglimento. Eppure la loro seconda prova su Warner non scredita il nocciolo dell’etica indipendente in 20 brani morbidamente abrasivi, arrangiati e composti con un songwriting maturo, potente ed al tempo stesso evocativo. Anticipando stilisticamente di poco la nenia stipeiana di un Document violentato da un distorsore MXR (o altresì, con la stessa violenza un Surfer Rosa che vira verso tonalità scarlatte), Warehouse: Songs and Stories contiene quella lucida veggenza di un alternative consolidato -a tratti persino compassato-, eppure limato e perfezionato in ogni singolo dettaglio.

Warehouse songs and stories - Hüsker DüPesantemente sofferto nella sua paranoica gestazione, è quasi equamente diviso nei crediti delle liriche tra Grant Hart e Bob Mould (con quest’ultimo sbraitante contro il batterista: «Non finiremo questa tua canzone e neppure quell’altra, perché altrimenti saremmo pari, e nell’album ci sarebbero dieci canzoni mie e dieci tue. E questo non accadrò mai. Non in questo gruppo»). Sacrificato sarà il ruolo del basso di Greg Norton, che in alcuni casi viene sovrainciso perché ritenuto non soddisfacente gli altri due huskers. Così, in questa battaglia artistica, diviene difficile scegliere tra la cristallina Ice Cold Ice (Mould) e la variopinta Charity, Chastity, Prudence, and Hope (Grant), o ancora tra apocalittica Could You Be the One? o la sinistra She’s a Woman (And Now He Is a Man). Due stili di composizione e scrittura molti diversi, che tuttavia si miscelano alla perfezione all’interno di una tessitura coerente, che non soffre i rallentamenti hardcore rispetto al capolavoro SST Zen Arcade (leggi recensione) e che approccia “veggente” verso quell’alternative rock sottocutaneo portato avanti -in modi e forme diverse- dapprima da Dinosaur jr e Sonic Youth, per poi arrivare alla Seattle delle camicie a quadri.
Da una parte la destrezza e l’abilità di Bob Mould di trasformarsi in un battito di ciglia da un working-class-hero di Minneapolis ad un Rollins narcolettico, dall’altra l’imprevedibilità sixties di Hart Grant capace tra lievi e grevi battiti di batteria di conferire quell’aura psichedelica ed alternative-pop che in Zen Arcade (vedi Pink Turns to Blue) vaneggiava tra litri e litri di hardcore sputato a tutta velocità.

Nell’apogeo della loro compiutezza creativa, gli Hüsker Dü decidono di sciogliersi definitivamente e senza alcun ripensamento lungo i successivi venti-venticinque anni, lasciando qualche occasionale mezza-reunion sul palco; consegnando uno dei rarissimi casi di discografia interamente di qualità, lungo poco più di sei anni trascorsi tra distorsioni, rullate folli, urlatacce e tanta tanta velocità.
Una sorta di commiato aleggia mentre si ascolta Warehouse: Songs and Stories, poiché gli Hüsker Dü -nonostante la Warner, l’hardcore, i dissidi interni e la droga- hanno sempre mantenuto e conservato quell’etica indipendente onesta, rispettosa del proprio pubblico e delle proprie origini: nella storia della musica questa è una rassicurante eccezione!

recensito da Poisonheart

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