Live Through This – Hole

Con Live Through This, pubblicato pochi giorni dopo la morte di Kurt Cobain, le Hole della fin troppo chiacchierata Courtney Love, provarono a sbancare le classifiche sull’onda del commiato grunge con la speranza di convincere finalmente anche gli scettici e la critica mediatica.
Tutto ruota attorno alla carismatica vedova Cobain: o la si ama o la si odia. E da questo particolare derivano tutte le belle cose dette (poche!) e le troppe accuse e sentenze lanciate senza far caso alle conseguenze. Ahimè per i detrattori, Live Through This, seconda fatica del gruppo, è un album spigoloso ma ben prodotto (Paul Q. Kolderie già con i Radiohead in Pablo Honey).
Il grunge delle origini è sciacquato e riciclato alla maniera delle cosiddette Riot Grrrls, nonostante questo non sia un album riot!. Anzi, superate le incertezze dell’esordio (prodotto e promosso con entusiasmo da Kim Gordon) e con qualche aiutino artistico da parte di Kurt Cobain, le Hole riescono a suonare un rock melodico compatto, a tratti urlato e a tratti perfino dolcissimo.

live-through-this-holeViolet mostra le “palle” delle Hole, mettendo i primi mattoni per un rock poderoso ma non troppo impegnato, grazie alle armonie di chitarra dell’unico ometto della band, Eric Erlandson. In Miss World partecipa la chitarra di Cobain (anche se non  accreditato), il sound è un incidente frontale tra R.E.M.  e The Bangles senza vittime o feriti; tuttavia il risultato è apprezzabile e non così retorico come molti sostengono. Lo sferzante anticonformismo di Courtney Love corre rapido ed a testa alta, tra un cut-up un po’ scopiazzato, ed alcune immagini evocative e slacciate dalla bellezza: «I’m Miss World / Somebody kill me». Più sofferta è invece Plump, in cui il basso di Kristen Pfaff è incisivo come non mai, purtroppo la bassista nel 1994 si prenderà una pausa dal gruppo, pausa che si rivelerà definitiva quando pochi mesi, nel giugno dello stesso anno, venne trovata senza vita per un overdose (la sostituirà la meravigliosa Melissa Auf der Maur).

Il valore aggiunto al disco lo conferma Doll Parts, un credibile sforzo compositivo della Love che imprime alla tela musicale una straordinaria melodia in bilico tra pop e grunge; prepotente è il chorus dapprima cantato forte, poi in un finale in crescendo le urla toccano la velata disperazione «Someday, you will ache like I ache»: l’emozione ruggente si trattiene a stento. Le linee melodiche echeggiano sempre dalla chitarra di Erlandson, mentre a supporto rincorre la sei corde della Love, pronta a rinforzare eventuali virate distorte. Da citare Asking for It altrettanto  tenebrosa e pacatamente disperata, mentre decisamente in stile The Bangles, è I Think that would die salvo poi approdare in frequenti stacchi veloce-lento molto dinamici e sempre efficaci, anche se talvolta evanescenti e scontati. Softer, Softest è l’unica ballata calda, ben arrangiata e apprezzata molto da Michael Stipe dei R.E.M. che la decreterà sua preferita del repertorio delle Hole.

Che piaccia o pure no, Courtney Love ha fatto proprio un bell’album; in Live Through This il miscuglio tra grunge e pop di “REMiana” memoria non è un azzardo, non esplode pericolosamente, ed evita la scontata emulazione. A posteriore si può forse definire il primo disco post-grunge, sempre che tale epiteto abbia qualche valenza; ad ogni modo bisogna proprio dire: “nice try”!

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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