Sulla strada con Jack Kerouac

L’aria era calda e dolce. Volevo andare a riprendermi Rita e dirle ancora un sacco di cose, e fare l’amore sul serio con lei questa volta, e calmare le sue paure sugli uomini. I ragazzi e le ragazze in America passano insieme momenti talmente tristi, una specie di snobismo richiede ch’essi si sottomettano immediatamente al sesso senza adeguati discorsi preliminari. Non discorsi di corteggiamento, ma una buona chiacchierata come si deve a proposito dell’anima, poiché la vita è sacra e ogni momento è prezioso. Sentii la locomotiva della Denver-Rio Grande allontanarsi ululando verso le montagne. Volevo inseguire più oltre la mia stella” 

(Jack Kerouac, On the Road, 1957)

 

Il personaggio: padre mitizzato della beat generation, Jack Kerouac ha da sempre impersonato lo scrittore rivoluzionario e libertino nella forma e nei contenuti, nonostante la sua indole fosse non così libertaria o sovversiva. Fervente cattolico, Kerouac nasce a Lowell nel 1922 da immigrati franco-canadesi, manifestando ben presto una predisposizione per la scrittura e per un’accesa curiosità ed immaginazione. All’imbrunire degli anni ’30 frequenta la Horace Mann Preparatory School di New York, ove mette in mostra buone qualità atletiche, tanto da consentirli di usufruire di una borsa di studio per la Columbia University, che lascerà poco dopo per imbarcarsi nella marina mercantile appena dopo l’attacco giapponese di Pearl Harbour. Tornato a terra, nel 1944 incontra Lucien Carr e successivamente due delle figure fondamentali del movimento beat: William S. Burroughs ed Allen Ginsberg. Vicende al limite dell’assurdo, portano poco dopo Kerouac in carcere per favoreggiamento nell’omicidio di David Kammerer, possessivo amante di Lucien Carr  (vicende narrate ne Gli Ippopotami si lessarono nelle loro vasche, scritto a quattro mani da Kerouac e Burroughs, romanzo proto-beat). Dopo un primo matrimonio fallito, Kerouac incontra nel 1946 Neil Cassady, che diventerà il motore fondamentale per la stesura di On the Road (1951), anche attraverso i numerosi viaggi coast-to-coast per gli Stati Uniti ed il Messico. Nel corso degli anni ’50, Kerouac scrive con febbrile passione, pur senza ottenere un grosso riscontro da parte degli editori, vivendo da vagabondo ed al limite della povertà. Il successo a scoppio ritardato di On The Jack KerouacRoad nel 1957, coincide anche con il movimento che si stava generando a San Francisco grazie anche all’azione instancabile di Lawrence Ferlinghetti e della sua City Lights, promuovendo una nuova generazione di scrittori. Tuttavia l’essere accostato in maniera così circoscritta alla beat-generation, non piacque particolarmente a Jack Kerouac che preferiva definirsi poeta jazz ed ancora molto legato ad una mistica religiosità (“uno strano solitario pazzo mistico cattolico“). L’avvicinamento alle filosofie Zen (The Dharma Bums del 1958 è frutto dell’amicizia con lo scrittore Gary Snyder) lo portò ad ampliare la propria visione spirituale, senza tuttavia rinnegare le proprie origini cattoliche. Una sorta di fatalismo avvolse Kerouac nell’ultima fase delle sue opere; in Big Sur (1962) ad esempio la dipendenza dall’alcool, i fantasmi e la desolazione del protagonista (ovviamente alter-ego dello scrittore), enfatizza uno stato d’animo di profondo disagio personale, specie per quanto riguarda la fama e notorietà raggiunta, anticipando in qualche modo gli ultimi ed disperati anni della sua vita.  

 

Lascito letterario: più che le folli scorribande di Sal Paradise e Dean Moriarty (quest’ultimo vero motore jazz del romanzo), quello che è fondamentale e rivoluzionario in On the Road, è la cadenza ritmica della scrittura verso un linguaggio parlato, ricco di slang e di tic onomatopeici. Se il capitalismo post-bellico statunitense volgeva al suo massimo splendore durante la presidenza Truman, una ritrovata innocenza verso il viaggio infiammava una precoce generazione: la riscoperta del coast-to-coast assume i contorni di una nuova “caccia all’oro”, in un moto ingenuo e sognante, non dissimile a quello dei primi pionieri del verso il vecchio west. L’imprevedibilità e il distacco dal materialismo quotidiano non sono strumenti che  Jack Kerouac usa per scrivere un romanzo intriso di nostalgia e desolazione, piuttosto sono necessità vere e proprie che crescono dai suoi stilizzati appunti di viaggio, poiché la miseria della provincia diventa sempre il preciso punto di arrivo di ogni viaggio. L’ansia della partenza e la frenesia entusiastica nei progetti vagabondi di Paradise e Moriarty, trovano il loro nebuloso contrario nel disagio di rimanere per troppo tempo in un posto: il viaggio assume le forme di un anestetico per il singolo individuo.  
Il rifiuto all’approccio borghese della prosa sono altri segnali di rottura con la tradizione letteraria americana, che nel dopo guerra tendeva a specchiarsi in esercizi di forma piuttosto superflui; la poetica beat non ha imposto un nuovo stile o un rinnovato linguaggi. Bensì ne ha musicato il ritmo, verso un be-bop lunatico ed ubriaco, ispirando in maniera del tutto imprevedibile la generazione successiva (gli hippy), invaghiti più dal tema del viaggio, che dai contenuti di una fuga verso se stessi e verso un’America sempre più autoritaria.

Altri riferimenti: la musicalità dell’opera di Jack Kerouac è presto riconoscibile nel be-bop di Charlie Parker e nella libertà stilistica del jazz; in On the Road, numerosi riferimenti alla musica nera trovano ispirazione dai dialoghi di Dean Moriarty, con la sua parlata isterica e ritmata, sembra quasi voglia farcelo ascoltare.

«Noi conosciamo la vita, Sal, stiamo invecchiando, ognuno di noi, a poco a poco, e siamo sul punto di conoscere le cose. Capisco benissimo ciò che mi dici della tua vita, sono sempre andato a fondo dei tuoi sentimenti, e ora infatti sei pronto ad agganciarti ad una ragazza in gamba sul serio se solo ti riesce di trovarla e coltivarla e far della sua mente l’anima tua proprio come mi sono sforzato di fare io con queste mie maledette donne»

 

La Firma: Il Gemello Cattivo

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