“L’indie fa cagare”: considerazioni postume ad una rivoluzione

Mi capita raramente di commentare avvenimenti musicali d’attualità, tuttavia in questi primi giorni di maggio si sono susseguiti stati d’animo diametralmente opposti: dall’ovazione alla lettura della scaletta pre-concerto primo maggio, alle aspre critiche sul panorama indie italiano che ne sono seguite, trovando il memorabile epilogo nel succinto e (probabilmente) provocatorio “L’indie fa cagare” di Manuel Agnelli, in una recente intervista a Sky Arte Festival.
E’ indubbio che il biennio 2016-2017 verrà ricordato per la definitiva esplosione e consacrazione (mediatica) del fenomeno indie; una rivoluzione che per anni ha agitato l’underground italiano, ha popolato piccole sale concerto e radunato non più di un migliaio di persone per volta, sempre più o meno negli stessi rock-club o locali. Una “rivoluzione” che -seppur fatte le dovute proporzioni-, ricorda quella dell’independent americano, che con il punk hardcore della SST Records ha segnato un punto di rottura definitivo con la generazione precedente, evolvendosi lentamente ed a macchia di leopardo (da San Francisco, Minneapolis, Chicago, Washington, fino ad Olympia), a suon di meravigliosi ed abrasivi dischi, fino a ingolosire le gigantesche major americane che hanno sfondato il mercato con il grunge e l’alternative rock dei primi anni novanta. Le similitudini sono quindi palesi: piccole label indipendenti nascono, promuovendo e distribuendo ep o dischi, spesso homemade, o registrati in presa diretta, o ancora autoprodotti con risorse misere, creando con gli anni una sorta di linguaggio comune originale che una eletta tribù di pubblico riconosce immediatamente. Se la ruvidezza del primo ep de Le Luci della Centrale Elettrica (2007) faceva mugugnare e sbadigliare  il vispo ascoltatore radiofonico, la fierezza di una produzione scarna o assente e la spontaneità di prendere una chitarra e cantare delle proprie elucubrazioni sentimentali, faceva innamorare una generazione di post-adolescenti, alle prese con gli esami di maturità o con i primi esami universitari. Eppure davvero non esiste un album o un artista dal quale tutto è partito: se l’esordio di Vasco Brondi ha incuriosito solo sparuti internauti, dischi di Baustelle e Zen Circus (anagraficamente e musicalmente più evoluti) hanno rafforzato un approccio alla musica che non avrebbe mai coinvolto radio e televisioni. Approcci più rock, toccarono la proposta dei Ministri o dei più esperti Il Teatro degli Orrori; senza dimenticare l’intensa fucina di giovani musicisti tra l’Emilia e l’Abruzzo, cresciuti tra punk e CCCP, in un approccio do-it-yourself spontaneo e libero.
Quindi, tutta la generazione tecnologica nata nella seconda metà degli anni ottanta ha iniziato a sfornare brani autoprodotti ed a scaraventarli per gioco su youtube o (all’epoca un portale davvero hipster) myspace, trovando nel passaparola digitale una forma di distribuzione economica, ma indubbiamente efficace. Le piccole label si sono adeguate, trasformandosi in web-label e promuovendo su canali diversi gli artisti e le band: Niccolò Contessa, Thegiornalisti, Lo Stato Sociale, Ex-Otago, nascono prima di tutto sulle prime piattaforme digitali, mentre etichette più esperte (vedi La Tempesta Dischi) hanno continuato a promuovere il proprio pacchetto di giovani (e non) artisti, alimentando un contenitore indipendente sempre in fermento. 

Lo Stato Sociale indieIl 2016  l’uscita di Aurora de I Cani, un paio di azzeccate collaborazioni (Jovanotti + Tre Allegri Ragazzi Morti), l’esplosione -a tratti forse ingiustificata- di Calcutta, hanno preparato inesorabilmente il terreno per l’interesse delle radio e tv, che con Completamente Sold-Out dei Thegiornalisti hanno trovato la fatale illuminazione. Nei primi mesi del 2017, complice un Festival di Sanremo “alternativo” (davvero?) ed anche uscite discografiche azzeccate (Brunori SAS, Vasco Brondi, Levante), la consacrazione è arrivata di colpo ed a sorpresa, culminata nel Concertone del Primo Maggio a Roma. La superficialità ed il tono nazionalpopolare con cui viene trattata la musica in Italia (ricordo con un sorriso il puntuale Vincenzo Mollica definire il 40enne Brunori, “giovane cantautore“), ha portato il telespettatore medio sintonizzato sul primo maggio Rai (ahimè, abituato alle esibizioni da talent-show serale) a sprecarsi con critiche verso le fragili capacità canore di alcune esibizioni ed a disquisizioni tecniche sulla bassa qualità della musica proposta; ignorando probabilmente la scarsa dimestichezza delle band indipendenti a confrontarsi con eventi nazionali di questo tipo (per intenderci non siamo al MI AMI Festival di Milano). La musica in televisione è diventata un efficace mezzo per fare spettacolo, e nonostante alcuni format mostrino palesi segni di stanchezza, per anni gli artisti usciti dai talent-show hanno animato le classifiche di vendita. Sicuramente è criticabile l’organizzazione dell’evento, ed una messa in vetrina di musicisti probabilmente non adeguati all’esibizione in tecnicolor (tuttavia, Vasco Brondi dal vivo non è mai stato diverso!), o che per “strafare” e lasciare un segno, si lanciano in coloriti proclami non consoni ad una rassicurante diretta tv (mi riferisco a Lo Stato Sociale? Sì!).

Manuel Agnelli indieCon queste premesse il volgo è presto eccitato nell’affermare che “la musica italiana fa schifo” o “siamo indietro di diec’anni rispetto al resto del mondo“, ed in coda a questo carrozzone superficiale, si mette in fila più di qualche ex-seguace hipster a cui piace polemizzare sui social. Come mazzata finale, ecco le sbrodolone parole di Manuel Agnelli in una brutta e scocciata intervista (che potrete facilmente trovare nel web) nella tappa napoletana di un evento musicale promosso da Sky. “L’indie fa cagare” è certamente un’uscita poco elegante, visto e considerato che la maggior parte di queste band indipendenti -almeno una volta nell’ultimo decennio- hanno aperto ai concerti degli Afterhours. Considerando, inoltre che lo stesso Agnelli (assieme ai Marlene Kuntz ed alla beneamata memoria dei CSI) rappresenta una delle pietre miliari della musica indipendente, mi sarei aspettato qualche critica costruttiva ed argomentata (o forse la sciocca piega dell’intervista non l’ha consentito!), non una stroncatura irrimediabile. Nonostante il succo dell’intervento mirasse principalmente alla mancanza di contenuti sociali nella nuova musica italiana (non che all’estero se la passino meglio, eh!), è comunque ingiusto far passare il messaggio, che la ribalta mediatica ed il “sudato” successo se lo prende sempre chi non se lo merita. In Italia ci sono giovani band davvero promettenti, originali ed appassionate, piccole label indipendenti che non si accontentano di qualche disco ben piazzato, ma che perseverano nella loro ricerca di nuovi; bisogna però essere pazienti, sottili ed esigenti nella ricerca, ma pescando in un mucchio di tanto qualunquismo, c’è anche qualcosina di davvero meritevole di essere ascoltato.

Il presente parla di una rivoluzione in atto (e forse oramai compiuta): dal suonare in piccoli club con il banchetto fuori a vendere una manciata di cd, al riempire in poco tempo palazzetti da 5.000 posti con singoli piazzati nella programmazione giornaliera delle radio commerciali. E’ la vittoria della musica indipendente, ed inesorabilmente la sua fine! Come avvenuto nel nord-ovest d’America dopo il 1992, le band grunge ed alternative-rock (in alcuni casi tragicamente) implosero sotto il controllo delle major, che si tuffarono sulla miniera d’oro che le piccole label indipendenti avevano scovato per prime. La qualità della proposta scese drasticamente nella cieca foga di trovare giovani emuli di Nirvana, Pearl Jam e Soundgarden, mercificando in maniera estrema un’etica indipendente che tra do-it-yourself ed autogestione aveva resistito poco più di un decennio.
In Italia questo scenario ovviamente è inverosimile (le similitudini sono fino ad un certo punto), tuttavia è interessante interrogarsi sul futuro di questi giovani artisti che hanno avuto un successo -modesto, per carità- ma sicuramente del tutto inaspettato. La televisione commerciale prende artisti affermati e li trasforma in personaggi (Morgan, Agnelli, Elisa, Elio, esempi lampanti di trasformismo televisivo!), facendo leva sulla stravaganza dell’artista; perciò la domanda lecita è: come cambierà in futuro la proposta musicale di chi si sta affermando, come I Cani, Thegiornalisti, Calcutta? Saranno ancora le solite ballate generazionali -una sorta di marchio identificativo- per continuare a cavalcare l’onda della tendenza indie? Saranno veramente dischi indipendenti, o forgiati da quella che è la domanda commerciale di radio e televisioni? E che dire delle nuove leve, la “proletaria” gavetta, i sacrifici, l’autoproduzione, serviranno ancora quando c’è una grossa major pronta ad accogliere e plasmare degli esordienti? Per non parlare della libertà artistica, dei contenuti, dell’attitudine indie.
E tutto questo, mentre un sopracciglio si alza in tutta autonomia, guardando Giovanni Lindo Ferretti su una copertina di una fashion magazine … e sono già passati vent’anni da Tabula Rasa Elettrificata!

La Firma: Poisonheart

 

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