Apologies to the Queen Mary – Wolf Parade

 It was strange, constant blueand the same ghost every night
Mi chiamano Camilla e parlo della musica che riposa del fondo della mia anima … e la condivido con voi …

 

Sedotta segretamente dalle melodie balbettanti degli Arcade Fire, non potevo certo non innamorarmi di un disco che ne assorbe in una certe misure le stesse influenze e la medesima travagliata melodia: sto parlando di Apologies to the Queen Mary by Wolf Parade.
Dan Boeckner (chitarra e voce) e Spencer Krug (piano) sono le menti compositive di questa melanconico-frizzante band canadese, che esplora l’indie-rock dal un punto di vista più progressive, svenandosi in ballate amare che mettono la pelle d’oca per intensità ed introspezione. Gli arrangiamenti dei Wolf Parade non sono né sontuosi né puliti, come potrebbe essere quelli di un british-indie, ed il tutto si slaccia tra l’acustica vaporosa della chitarra e la perentorietà del piano, colorando lo sfondo da battiti di tamburi lenti e costanti, e dal petulare di un basso macabro nel proprio linguaggio libero da contaminazione. La voce soffocata di Boeckner, ricorda i lamenti Win Butler, ma contiene una sorta di acuto timbro celtico che funge da condimento ad un emozionale full leght .

La cripta si apre con You are a Runner an I am my Father’s son, una struggente confessione parentale, nel quale prevale un forte senso di colpa e cela un vomito interiore dalla consapevole spinta liberatoria; le liriche si sganciano in maniera cruda da un tappeto sonoro semplice ma pieno d’enfasi:

«I’ll draw three figures on your heart:
One of them will be me as a boy
One of them will be me
One of them will be me watching you run
»

L’epilogo della prima traccia è l’apertura della seconda: Modern World si lancia in una sottomessa presa di coscienza di un mondo, o forse di un “sistema”, che fa le regole e detta le condizioni, senza che nessuno reciti fuori da coro; una sorta di concenzione orwelliana: «Modern world don’t ask why ‘cause modern world build things high». La chitarra acustica enfantizza ancora di più questa oppressione silente, e il riff che completa il brano è quanto di più sublime si possa pretendere.
Le bugie di Wolf Parade verso “l’incidente” durante un esibizione sulla nave Queen Mary, proseguono con una ballata folkloristica dal sapore europeo, il trifoglio si spoglia e Grounds of Divorce racconta con la limpidezza e la sobrietà di una battitura a macchina una storia di conflitti e scuse.

Apologies to the Queen Mary - Wolf ParadeWe Built Another World si attesta maggiormente verso i timbri indie-rock dell’epoca, mentre Same Ghost of Every Night rappresenta il momento più drammatico del disco. Una danza lenta ed intrisa di lacrime sul cuscino, che mi lascia intontita e priva di forze, data la spiccata carica decadente di questo notturno sensibile: «And how we love the seasons that hide in our stomachs».
Shine a Light è un altro brano sopra la media, e si muove come una marcia acrilica, sostenuta da un ottima miscela chimica tra una batteria meccanica ed i tasti bianchi della tastiera che si vestono di un denso vintage cobalto.
La componente progressive che citavo in fase di presentazione la si coglie a piene mani in I’ll Believe in Anything, un mosso commiato da highlanders, che sfocia senza uno schema preciso in uno smilzo saliscendi dalle pretese minimali. Dinner Bells, invece, risulta ben più articolata nei suoi 7 minuti di lullaby, nel quale sento un eco crescente verso i Radiohead, e mi fa anche apprezzare la bontà di un disco ben confezionato e libero da prigioni radiofoniche.
Se cercate qualcosa di diverso, e meno movimentato dell’indie britannico, ecco che avete trovato l’album giusto: «And I’m content, I’m content, I’m content to be quiet»

recensito da Camilla
Camilla heartofglass

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