There’s nothing wrong with love – Built to Spill

When my mind’s uncertain my body decides
Mi chiamo Camilla e racconto della musica che riposa nel fondo della mia anima … e la condivido con voi …

 

Poco distante dalla patria del grunge (Seattle, ovviamente), e a pochi mesi dopo la fine dello stesso (aprile 1994), a Boise nell’Idaho (lo stato delle patate) i Built to Spill di Doug Martsch registravano quello che sarà un altro disco generazionale (dopo Nevermind) per quei primi indimenticabili anni ’90: There’s nothing wrong with love.
Seppure la musica dei Built to Spill sia dannatamente indipendente e lontanissima dalla moda delle camicie di flanella, le chitarre ruggiscono ugualmente ed il modo di relazionarsi col pubblico rimane sempre molto intimo e diretto, lo stesso Martsch ammetterà che: «e’ stato l’ultimo disco che ho fatto senza pensare che un sacco di gente l’avrebbe un giorno ascoltato». Sarà forse questo tipo di approccio, ed il cambio (quasi sempre obbligato per scelta della stesso Martsch) della line-up con l’entrata di Brett Nelson al basso e di Andy Capps alla batteria, a dare vigore ad un progetto musicale che con There’s nothing wrong with love prende il volo verso il mito.

built to spill - there's nothing wrong with loveMusicalmente parliamo di un lavoro elaborato, giri barocchi di chitarra che giocano sui volumi e sulle pause improvvise, trame di basso calde e sensuali che spesso s’appoggiano sulla risonanza delle tonalità più cupe del violoncello. Sono tuttavia i testi a regalare le emozioni più livide e penetranti. La fresca paternità di Martsch ha sicuramente un contributo importante (ascoltare la delicata Cleo in quel suo riff da ninna-nanna) nella stesura di certe empatie, come se il songwriter vestisse per davvero i panni dei protagonisti che muove nelle proprie canzoni.
In the Morning torna al college ed a quella difficoltà adolescenziale (cronicamente descritta negli anni ’90) di sopravvivere giorno dopo giorno, il mattino diviene quindi l’inizio di quello che potrebbe essere un nuovo inferno, ma è nel verso finale che una certa sommessa ribellione viene esasperata da uno “stop” improvviso con cui termina bruscamente il brano (Well my eyes can’t wait til they finally see through you / When I get this feeling like I’m gonna start I just have to stop!).

La nostalgia si fa strada nelle successive Reasons e Dig Dipper, complice dinamiche orecchiabili ma sostanzialmente agrodolci, tuttavia manca quel cambio di marcia che ci si aspetterebbe per liberare quella tensione crudele ed inerme; invece Martsch ci lascia a crogiolare come i suoi personaggi. Impazienti, ecco che l’intima Car modifica le distanze, grazie ad un dialogo tra chitarra ritmica e violoncello che colora di contrasti accesi un brano confidenziale intriso dei ricordi giovanili della mente dei Built to Spill.
Distopian Dream Girl con quel suo intro funky graffiate alla Minutemen, disegna figure ironiche (lo strano parallelo tra un patrigno e David Bowie) e verità dissacranti sulla vita di tutti i giorni, come sempre impregnate di riferimenti personali (If it came down to your life or mine / I would do the stupid thing and let you keep on living)
Carino anche l’approccio in Israel’s Song (uno spoken-word onesto corretto da un’ottima melodia indie), mentre in Twin Falls la sensazione è quella disarmante di una lacrima che riga il viso, mentre una voce canta col cuore in mano (7 up, I touched her thumb and she knew it was me).

Capitoli decisamente anni ’90 in Some e Stab ove i ritmi lenti ed una emozionale teenage agnst giocano sui volumi, pronti ad implodere prepotenti e lagnosi nei rispettivi ritornelli, come se tutta la frustrazione adolescenziale fosse raccolta nello stomaco e sputata alla prima pennata di chitarra distorta. Lento-veloce-lento era uno schema abbastanza abusato all’epoca anche nei meccanismi mainstream, eppure in  There’s nothing wrong with love non si percepisce che grande onestà artistica e una propensione al raccontare storie e sensazioni che farà dei Built to Spill (e di Doug Martsch) una guida imprescindibile (dopo aver perso altri miti e protagonisti) per i giovani ascoltatori indipendenti del globo.

recensito da Camilla
Camilla heartofglass

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