The Boy with the Arab Strap – Belle and Sebastian

Sopravvissuti al corso per disoccupati dello Stow College di Glasgow, Stuart Murdoch e Stuart David mai avrebbero pensato che i Belle and Sebastian potessero attirare le mire della piccola Electric Honey (la label del campus del Glasgow Kelvin College) e registrare così l’esordio Tigermilk (1996), coniando e soprattutto portando testardamente avanti una forma canzone sbarazzina, leggera, d’ispirazione twee-pop. Se le influenze stilistiche dei concittadini Vaselines e Pastels orbitano splendenti e levigate in forme più rotonde, la struttura platealmente pop -con rigorosa soluzione di continuità- indugia anche nel più maturo If You’re Feeling Sinister (1996), inaugurando un lungo sodalizio con la Jeepster Records

The Boy with the Arab Strab - Belle and SebastianHe had a stroke at the age of 24, It could have been a brilliant career: Coltivando un insospettabile pubblico sotterraneo infatuato di melodie candy-pop, i Belle and Sebastian per il terzo disco, lavorano sulle proprie mancanze e con un contributo molto più democratico e corale di ciascuno dei sei membri stabili, confezionano un pacchetto di 12 ballate succose, orecchiabili, easy-listening, ma con interessanti lati oscuri e personali. The Boy with the Arab Strap (1998) cavalca sempre la stessa onda di ballads agrodolci, disilluse e loser; trovando tuttavia in sobbalzi melodici piuttosto convincenti, l’equilibrio che non facesse pedissequamente scadere il disco nel già sentito, nel già ripetuto.
Dal petulante basso di Stuart David, alla prudente chitarra di Stevie Jackson o al cantato di Isobel Campbell, i Belle and Sebastian crescono come banda e suonano con buoni fraseggi, pur mantenendo forme e soluzioni semplici. Un’intimità spontanea e leggera si manifesta già nelle prime due tracce It Could Have Been a Brilliant Career (elementare, ma ancora attuale) e Sleep the Clock Around, ricalcando abbastanza fedelmente la formula vincente di If You’re Feeling Sinister. Eppure sono proprio i contributi della Campbell (nel sussurrato Is It Wicked Not to Care?) e di Stuart David nella poliforme A Space Boy Dream a rendono la scrittura del disco più evoluta e variegata. Tuttavia resistono i capisaldi stilistici dei Belle and Sebastian, in A Summer Wasting risale dall’esofago tutto il songwriting disilluso ed aspro di Murdoch («I spent the summer wasting / The time was passed so easily / But if the summer’s wasted / How come that I could feel so free»), sussurrando arie di innocenza nella parte centrale del disco, resa stagnante dal ciondolare lento di Seymour Stein.

What did you learn from your time in the solitary, Cell of your mind?: Dopo il confuso reprise di Dirty Dream Number Two (che risorge dalle ceneri bossanova di A Space Boy Dream); è la title-track a regalare ancora liriche pastello e naïf gentilmente posate su di un letto di bluesy-pop dai contorni sfocati ed impertinenti: scontato, gorgogliante, è il miglior pezzo del lp. Anche perché di fatto The Boy with the Arab Strap termina qui, nonostante la set-list contenga ancora tre brani che non fanno altro che confermare l’indie-pop melodico degli esordi: Chickfactor (la migliore e impregnata di milneriana nostalgia), la poesiola Simple Things, e l’adolescenziale The Rollercoaster Ride.

Seppur senza gloriosi sobbalzi compositivi, le immagini aleggiano innocenti nei versi dei Belle and Sebastian, sempre i bilico tra l’essere solo meravigliosi dilettanti ed indossare le sognanti vesti di cantastorie indie, da contrapporre allo strapotere brit-pop; ad ogni modo emozionano ed empaticamente entrano in contatto diretto con l’ascoltatore, contagiandolo di quell’infantilismo peterpaniano di cui tutti -in certi frangenti- sentiamo la necessità. Un po’ come quelle commedie leggere, buone per intrattenerci un’oretta senza troppi pensieri, The Boy with the Arab Strap lascia sensazioni positive, serene, con quel velo di illusione a cui è piacevole abbandonarsi almeno per un po’. 


 

recensito da Bambolaclara

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