In The Aeroplane Over The Sea – Neutral Milk Hotel

What a beautiful face
I have found in this place
That is circling all round the sun
Mi chiamo Camilla e racconto della musica che riposa nel fondo della mia anima … e la condivido con voi …

Come le scatole cinesi (o le più proletarie matrioske), sotto il progetto Neutral Milk Hotel si cela uno di quei geni traslucidi dispersi nella provincia americana, ossia lo stesso Jeff Magnum che nella successiva scatola, è tra i principali promotori (assieme a Robert Schneider dei Apples in Stereo, Bill Doss e Will Cullen Hart degli Olivia Tremor Control) dell’esperienza della Elephant 6, l’etichetta indipendente delle band del circolo universitario di Athens dei primi anni novanta.
Venerando l’incompiuto Smile (fino al 2011) dei Beach Boys come chimera musicale da seguire, le band che ruotavano attorno alla Elephant 6 vantavano un retrogusto per un folk stralunato, un jingle-jangle atonale, disilluso e forse un tantino misantropo nella forma grezza in cui si presentava ad pubblico ricercato e perlopiù elitario.
Neutral Milk Hotel - In The Aeroplane Over The SeaNon fa dunque eccezione nemmeno l’evoluzione dei Neutral Milk Hotel, passati a qualche demo-tape poco più che lo-fi, alle splendide litanie contenute nello stucchevole e commuovente In The Aeroplane Over The Sea, ove si mescolano vagiti folk, propositi slacker ed un songwriting irriverente come solo la seconda parte degli anni novanta poteva consegnare. Uscito agli inizi del 1998 per la Merge Records (come già il predecessore On Avery Island), viene -non a caso- registrato ai Pet Sound Studios (riecco i Beach Boys) di Denver dall’amico Robert Schneider. Probabilmente la lettura dei Diari di Anna Frank può avere influenzato Jeff Magnum nella stesura dei brani (insomma, Holland 1945 o Communist Daughter sono più di una reminiscenza!), a cui si accompagnano Jeremy Barnes alle percussioni, Scott Spillane e Julian Koster equamente divisi tra fiati ed organo, come a dare un’impronta da banda al passo sgembo dei brani. La fortunata cover art (co-ideata dallo stesso Magnum con Chris Bilheimer, già al lavoro con gli R.E.M.) ne santifica l’aspetto nostalgico e vagamente circense, nonostante le liriche portino in dote un lucido sarcasmo ed una personale visione del mondo e della natura. Ossessione di Jeff Magnun sono i punti di vista e le prospettive, come se nei suoi versi e strofe cercasse la via per un differente sguardo a ciò che lo circonda, nessuna porta della percezione per carità, ma semplicemente un’altra matrioska ove scrutare il tutto da minuscolamente più vicino.

La musica dei Neutral Milk Hotel si avvale di una voce stridula e sgraziata da menestrello disincantato, mentre rintocchi di organo danno inizio ad una dimessa sagra folkloristica dai brillanti squilli di cornamusa e dalla ritmica accattivante: The King of Carrot Flowers è una linea continua separata in tre parti, che svela subito la pasta giocosa di un lavoro poliedrico e sostenuto (vedasi il finale tirato e distorto). Dall’andatura sciolta, mielosa e melliflua la title-track è l’elogio della ballads stile nineties, ove una serie di immagini (peraltro piuttosto scontate) vengono messe in fila come ad immortalate l’ultimo istante di calma prima dell’incombere della tempesta (rimandi non troppo velati alle vicende di Anna Frank). Giochi di parole e sensazioni che scorrono liquidi lungo tutto il disco: dall’immediatezza di Communist Daughter (la parte R.E.M. dei Neutral Milk Hotel, tromba permettendo!), alla parata di strada di Oh Comely, arrangiata con grande passione ed una pazienza nel far riaffiorare le giusta amalgama sonora.
Two Headed Boy sparge i suoi fumi provocatori, dapprima con una chitarra acustica le cui pennati si fanno vibranti e nervose, per poi approdare nel reprise finale in un ragionato dosaggio di volumi e di enfasi nel cantato senza inibizione di Jeff Magnum.

Se l’alba della fine degli anni novanta tirava per i capelli gli ultimi rimasugli del rock alternativo, è innegabile che qualunque libera licenza folk fosse ancora materiale per pochi (Summerteeth dei Wilco è dietro l’angolo), mentre l’eredità lo-fi o independent (per affinità i Built to Spill di Doug Martsch) era ancora prematura da svelare: In The Aeroplane Over The Sea coniuga le istanze melodiche del primo, con i fulgidi lampi dei secondi, mettendosi in quella piacevole via di mezzo che a volte salva dall’anonimato. Ad oggi un disco-cimelio, nel 1998 poco più che un lavoro da passa-parola negli ambienti universitari!

recensito da Camilla

 

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