L’epilettica Manchester dei Joy Division (1976 – 1980)

La città Manchester dopo lo scoppiò del’ondata punk che investì l’intera Gran Bretagna nel 1977, si trova nel ruolo di sorella minore della più affascinante Londra. Se poi provieni da una cittadina come Macclesfield (30 minuti a sud di Manchester), beh allora di certo non puoi andare in giro conciato come uno dei Pistols! In un atmosfera nebbiosa ed industriale, ancora legata alla tradizione proletaria, nascono i Joy Division di Ian Curtis, Bernard Sumner, Stephen Morris e Peter Hook. Gli ultimi tre suonavano già per conto loro quando, ma dopo aver visto i Sex Pistols suonare al Free Trade Hall di Manchester il 20 luglio 1976, qualcosa in Ian Curtis si accese. E come fu per molti altri futuri musicisti, pensò che se ce l’hanno fatta Rotten e Vicious poteva farcela anche lui. Subito Ian si aggrega al resto della banda e dopo aver preso alcuni nomi, tra qui Warsaw, decidono per Joy Division da un bordello degli ufficiali nazisti tedeschi.
I miti di Curtis si riassumono in Velvet Underground, Bowie e Iggy Pop (ossia i tre padrini del punk!), tuttavia la musica non ne risente troppo. Accantonato un punk frivolo quando ancora si facevano chiamare Warsaw, i Joy Division prendono dimestichezza con gli strumenti e impongono il loro sound compatto. Determinante diviene il basso ipnotico di Hook e la voce cavernosa, funerea di Curtis.

Unknown Pleasures - Joy DivisionUnknown Pleasures è il primo disco adulto del gruppo (pochi mesi prima veniva alla luce l’ep An Ideal for Living) e si assiste alla nascita di qualcosa di estremamente diverso dal punk di band emergenti ed in futuro affermate come Buzzcocks, Damned, Penetration. Grazie a Granada Reports, lo show musicale di Tony Wilson, i Joy Division acquisiscono un fan molto illustre, lo stesso Wilson e arrivano alla pubblicazione di Unknown Pleasures.
Il disco con la spettografia di Fourier (tra le copertine più azzeccate della storia) presenta tratti cupi ed intensi nelle liriche di Ian Curtis, accompagnate da una batteria veloce, semplice, essenziale di Morris, dal già citato basso di Hook, fondamentale nel cucire la melodia di base e in una chitarra molto ripetitiva con picchi acuti e ispidi di Sumner. Il riassunto è Disorder che apre il disco e meravigliosamente esemplifica chi sono i Joy Division. «I’ve got the spirit, but lose the feelings» mette i brividi, tuttavia è solo l’inizio.

Day of the Lords poggia su lento e convincente riff di Sumner, con il consueto tono basso e oscuro delle corde vocali di Curtis; Insight è uno degli esperimenti più apprezzabili del disco, rumori di sottofondo in apertura per poi lasciar spazio al basso e alla batteria: ipnosi pura! «But I remember when we were young» ripete Ian, prima di assistere ad un sorprendete mix “elettrico”, l’impressione è che minuscole frecce luminescenti trafiggano l’ascoltatore.
New Dawn Fades è altrettanto articolata grazie ad un intro molto prolungato, tecnica ripresa da molte band new-wave. She’s lost control è una delle più note canzoni dei Joy Division, Curtis qui racconta dell’epilessia, ricordando il caso di una ragazza di cui aveva assistito alle crisi. Il cantante rimase molto impressionato da questo fatto e scherzo del destino qualche mese dopo (nel dicembre del 1978) avrebbe avuto il primo attacco epilettico. La convivenza con il grande male diventa una costante nella sua vita artistica e non.
Shadowplay è un’altra dei gioielli del disco, celebre la sua performance a Granada Tv. Sorprende ancora una volta la base melodica semplice e ricettiva. Lo schema è sempre quello, batteria e basso creano la trama, la chitarra aggiunge enfasi e la voce di Curtis fa il resto. Da citare la doorsiana I Remember Nothing, che chiude il disco. Una lenta agonia di rara cupezza, claustrofobica e meccanica, «We were strangers» ripete Curtis, la cui voce sostiene da sola tutti i 6 minuti del brano, da contorno un accompagnamento nervoso e pacato.

Questo disco è un convincente esempio dell’evoluzione del punk in altre forme. Alcuni potranno definirla preistorica new-wave, sbagliando completamente chiave di lettura. La verità è che Unknown Pleasures fa parte di una categoria indefinita, di quei dischi che fanno da trade d’union tra la moria del punk e le gestazioni wave; le chitarre resistono, le tastiere spingono per vedere la luce, il resto è tanta atmosfera: geniale, nuovo, anticonformista. Rivoluzionario per l’epoca.

Epilessia, tournee estenuanti, un matrimonio-fallimento, un amante affascinante, la nascita di una figlia, il peso del successo, perdita di controllo. Riassumendo sono queste le attanaglianti e massacranti paure di Ian Curtis. Le buone cose sentite su Unknown Pleasures sono ridimensionate dal dramma personale del cantante, alle prese con troppi dubbi e nessuna certezza.
Ma andiamo per ordine. Grazie alla regia di Rob Gretton, mentore dei Joy Division, il gruppo nel biennio ’79-’80 va in tournee nell’europa continentale e nel contempo acquisisce interesse in madrepatria. Curtis, inconsciamente, ha gettato le basi per un nuovo stile, non parlo di stile strettamente musicale, bensì di immagine iconografica. Curiosi, come minimo, i suoi balletti scomposti, in cui con movimenti meccanici e schizzoidi, simula degli attacchi epilettici. Buffo alla vista, ma terribilmente crudo se si pensa che Curtis di epilessia ne soffriva gravemente.
La fama crescente lo spaventa e parallelamente la vita famigliare (la nascita delle figlia nel aprile ’79) lo annichilisce. Accudito da una avveniente presunta giornalista di origine belga, Annik Honoré, il cantante ritrova brevi tratti di serenità, ma quando da semplice scappatella da tour si trasforma in relazione seria, allora tutto crolla. Per capire di cosa parlo vi consiglio il film-documentario di Anton Corbjin, Control in cui si racconta in maniera assolutamente fedele la vita dei Joy Division e di Ian Curtis.

Closer - Joy DivisionQuesto è il prologo per Closer, registrato nella primavera del 1980 e pubblicato postumo nel luglio dello stesso anno. Le vibrazioni nervose di Unknown Pleasures sono accantonate da melodie meno crude e più articolate. Il basso perde la sua incisività, tuttavia rimane fondamentale nella tessitura della melodia. La chitarra di Sumner invece acquista più spazio senza tuttavia mai strafare. In fase di produzione è deciso l’uso di effetti di contorno e di tastiere. E’ un album sicuramente più intimo, in cui i testi sono mortalmente profetici, pessimistici e pieni d’angoscia.
Atrocity Exhibition è stracolma di tensione, inzia con un batteria tribale e in sottofondo rumori metallici (sembra di sentire un frullatore!) «Behind his eyes he says ‘I still exist’; This is the way, step inside». Crudele nelle liriche con la voce che perde via via lo spirito (ricordate le parole di Disorder ?).
Isolation è la canzone che più di ogni altra è legata alle sonorità del precedente lavoro; drammaticamente racconta del senso di isolamento dovuto al grande male, come Curtis lo definisce, ossia l’epilessia. Passover apre con «This is a crisis I knew had to come», mi sembra superfluo aggiungere altro. Spiazzante Heart and Soul in cui Curtis è avvolto dal dubbio «Heart and soul, one will burn … », la melodia di basso e batteria mettono un ansia spasmodica e la voce si fa delicata e lontanissima, evocativa, misteriosa.

I picchi d’angoscia si toccano con le tre canzoni finali. 24 Hours è decisamente la più toccante, quasi un testamento di Curtis in cui convivono tutti i dubbi e le incertezze di una vita. Da brividi è il finale «Gotta find my destiny, before it gets too late». Tutt’attorno, la band, crea un muro sonoro lento, con il basso che accompagna l’ascoltatore nei meandri della disperazione del front-man.
Marcia funebre per The Eternal, in cui fa capolino il pianoforte. «Procession moves on, the shouting is over» cantata senz’anima, Curtis sembra svuotato e la decadenza è confermata dalla lenta mielina che accompagna il brano. Speranze infrante ovunque, rievocazioni di Keats e delle sue atmosfere cimiteriali. Decades chiude il disco con un enfasi insostenibile, la tastiera stavolta accompagna interamente Curtis in un brano che tira le somme su cosa sono stati i Joy Division, dal lapidario «Here are the young men, the weight on their shoulder» all’enigmatico «Where have they been?». Adesso, le lacrime non si possono più trattenere.

Nel maggio del 1980 era già previsto il tour negli USA. La grande occasione. Se i Joy Division fossero saliti su quell’aereo probabilmente le sorti degli anni ’80 sarebbero cambiate per sempre! Non lo sapremo mai …
Per le sue caratteristiche molto personali ed emotive, posso consigliare Closer solo a chi ha apprezzato visceralmente Unknown Pleasures. A tratti può sembrare davvero troppo malinconico, tuttavia se lo si ascolta col medesimo stato d’animo, può diventare una confortevole medicina.

Indimenticabili le parole di Bernard Sumner: «Credo che Ian avesse qualcosa di speciale. Sono convinto che siano state le medicine ad ucciderlo. Davvero. Lo so». Ian Curtis verrà trovato impiccato nella sua casa di Macclesfield il 18 maggio 1980. Sulla piatto del giradischi suonava ancora The Idiot di Iggy Pop.
L’indomani mattina i Joy Division sarebbero dovuti partire per gli Stati Uniti.

substance-joy-divisionLa discografia postuma dei Joy Division è, come raramente accade, trattata con i guanti bianchi e in poche compilation si racchiudono la maggioranza delle incisioni. Certamente Substance edita nel 1988 è la raccolta più completa e precisa; e permette di tracciare un bilancio sul ruolo che i Joy Division hanno nella storia degli anni ’80.
Precisamente in Substance si raccoglie il materiale sparso tra ep, singoli e apparizioni in compilation. Prezioso e preciso quindi il lavoro svolto in fase di produzione. Partendo dai brani del primo ep, An Ideal for Living, di chiara matrice punk e ancora primordiali come Warsaw, ma che lasciano intravedere dei spiragli di genialità, vedasi l’ottima Leaders of Men.
A Factory Sample invece fu un doppio ep del 1978 condiviso con altri esordienti (ricordo solo i Cabaret Voltaire), in cui si apprezza Digital, uno dei migliori pezzi di sempre, in cui il basso e la voce di Curtis instaurano la giusta miscela carica e spontanea.
Transmission è il 45 giri registrato nel luglio 1979 e non presente su Unknown Pleasures, si può apprezzare un ottima esibizione su Granada Tv. Veniamo quindi al piatto forte ossia al 45 giri del marzo 1980 di Love Will Tear us Apart in assoluto la canzone per cui quasi tutti ricordano i Joy Division. E di certo non se ne può fare una colpa. Un apertura di chitarra (“suonata”, virgolette doverose, da Ian Curtis) che apre alla batteria e al basso, tuttavia la struttura portante è data dalla tastiera di Sumner con un riff orecchiabile e sintetico. Un capolavoro in tutti i sensi. Da ricordare anche Atmosphere, contenuto nel mix pubblicato negli Usa nel settembre 1980. Qui il sound è più vicino a quello apprezzato in Closer, batteria tambureggiante e un’aria cupa e desolante. In appendice, nella versione cd, si ricorda Komakino facente parte di un flexidisc dell’epoca di Closer.

Sommariamente il materiale qui contenuto è di altissima qualità, lo definirei quasi un disco di completamento doveroso alla discografia (2 album!) dei Joy Division. Un gruppo, che forse solo grazie al documentario girato da Anton Corbjin, ha avuto oggi il giusto riconoscimento, basti pensare che artisti indie come gli Editors o gli Interpol ne hanno preso alcune caratteristiche peculiari. Tuttavia il gruppo di Macclesfield ha avuto un influenza sotterranea (anche a causa della tragica morte di Curtis) per la maggior parte dei gruppi inglesi a cavallo tra il ’79 e l’80, tra cui impossibile non citare i Cure. Ascoltare questo disco significa, non solo apprezzare alcune delle migliori liriche della band, ma assistere alla trasformazione della musica inglese che, dal punk sfrenato del 1977 passa gradualmente ad un post-punk più innovativo, per poi approdare a quella che verrà definita new-wave.
I Joy Division non sono i padrini della new-wave sia chiaro, ma ascoltandoli non si può disertare il loro contributo per quello che la “periferia” inglese riserverà negli anni successivi.

 

La Firma: Poisonheart
Poisonheart hearofglass

Share

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.