Hey ho Let’s go … la trilogia dei Ramones (1974 – 1977)

Il punk dei Ramones. Questa sarebbe forse una storia da raccontare ai bimbi. Forse la racconterò anche a mio figlio un giorno. Sono quelle storie che fanno sognare, che fanno credere che tutto è davvero possibile. Che tre accordi suonati alla velocità della luce rappresentino la quintessenza di una generazione, che un one-two-three-four gracchiato ad ogni canzone diventi un mantra che si ricorderà per sempre con nostalgia, che un giubbotto in pelle si trasformi in un microcosmo personale, un modo per dire “io sono così“; o semplicemente che quattro ragazzi venuti dai sobborghi di New York creino il loro urlaccio punk e diventino così l’attrazione principale di uno dei locali più affollati della metropoli.
Siamo nel 1974 e tutto ebbe inizio quando Dee Dee (Douglas Glenn Colvin) e Johnny (John Cummings) si procurano rispettivamente un basso Dan Electro e una Mosrite celeste al Manny’s Guitar Store sulla 48esima. Dee Dee non ha la ben che minima idea di come si suona un basso!
Al duo presto si aggregheranno pure un ragazzo altissimo e magrissimo, detto Joey (Jeffrey Ross Hyman) alla voce (già batterista con gli Sniper, ove viene notato dallo stesso Dee Dee), ed un ragazzo ungherese Tommy (Tamás Erdélyi) che suonerà la batteria e con licenza di produttore.
Si chiameranno Ramones, e diventeranno una famiglia felice (l’ironia si scoprirà poi), come denota una delle loro canzoni più celebri We’re Happy Family. Provate ad immaginarveli: quattro giovani dal look bizzarro, sbandati («Noi dei Ramones eravamo conosciuti perché buttavamo i televisori dai tetti delle case», chiodo nero, jeans strappati e scarpe da ginnastica Keds, in pieno Queens  a New York! Capacità tecniche limitatissime, quei miracolosi tre accordi suonati alla velocità della luce per non più di 2 minuti. Ballate surf-rock tirate, rabbiose, talvolta banali; un bagaglio minimalista, a volte cinico, socialmente spiazzante fatto di tanti I wanna be qualcosa o I don’t wanna qualcos’altro che all’ombra della seconda metà dei 70’s gridava all’eresia e all’emancipazione!
Questi sono i Ramones, autentici, vivi, veri e  il loro omonimo esordio discografico (1976) è la condensazione di tutto ciò che i giovani adolescenti possono aspettarsi dalla vita: tanta disillusione, segregazione ed un senso comune di non-appartenenza. Oggi li chiamerebbero nerd.
Ramones - RamonesProdotto da Craig Leon e coadiuvato dalla presenza dietro ai mixer dello stesso Tommy Ramone, il primo disco è pungente, aggressivo, e non lascia spazio a troppe pause o fantasia. L’ approccio dei quattro “fratelli” era forse radicale ed oltraggioso, tanto da incutere timore da parte del pubblico o dei giornalisti poco informati su cosa passasse per i bassifondi di N.Y.. Registrato in una settimana o forse meno e costato 6.400 dollari (pensate solamente che quelli erano gli ultimi tempi dei “dinosauri musicali”, band che spendevano anche mezzo milione di dollari per realizzare un disco comodamente in un paio d’anni!) Ramones è uno degli album fondamentali per il genere punk, un album generazionale, un album che anche a distanza di decenni mantiene il proprio fascino, un album di cui ho un ricordo personale molto forte in quanto è stato il mio primo vinile!

A vederli tutti in fila in copertina, pensereste ad una gang malfamata del Bronx piuttosto che una band che biascica ballate rock ‘n’ roll  orecchiabili e dai ritmi ubriacanti. Il monolite sonoro ripete sempre la stessa formula “One, two, three, four …” urlato come un goffo cavallo di battaglia da Dee Dee, semplici accordi di chitarra e linee monocorda di basso, avvolti da una isterica batteria fatta di ripetitive rullate e charleston: Blitzkrieg Bop  è l’essenza del punk newyorkese, è l’essenza dei Ramones, è quanto più semplice ed diretto possa esserci. Coinvolgente nella propria chimera, con quello slogan (perché il punk è fatto di slogan!) “Hey, ho let’s go …” che nei concerti al C.B.G.B’s  diventa la rassicurante consuetudine di essere arrivati nel posto giusto, di sentirsi finalmente a casa.
Sulla stessa onda altri brani che diventeranno classici generazionali, come Now I Wanna Sniff Some Glue sommersa da critiche feroci da parte del Glasgow Evening Times che accusava i Ramones di istigare alla droga e di non rispettare le giovani vite spezzate da questa pratica disperata. L’uso di droga era ad ogni modo una triste verità anche all’interno degli stessi Ramones: tutti sniffavano la colla, specialmente quando la disoccupazione, la disperazione e nessuna aspettativa confortante padroneggiava nelle loro vite. Talvolta anche l’eroina, la morfina e via dicendo, Dee Dee non lo ha mai nascosto! I testi ne sono una diretta conseguenza, scritti per la maggior parte dallo stesso bassista, sono la dimostrazione di un’alienazione autentica e di tracce di vita spezzata come ad esempio 53rd & 3rd, che racconta di un veterano del Vietnam caduto in disgrazie e costretto a prostituirsi, o Judy is a Punk, emblema di una rivoluzione nel modo d’essere, di un andar contro le regole non tanto per fare, ma perchè rappresenta l’unica via di salvezza. E forse è proprio questo il punk. Oltre a questo l’album è un mix di ballate bubblegum, di rombi frenetici ma del tutto simili l’uno dall’altro e di canzoni che riprendono quello che fu il surf-rock anni ’60: uno schema che sarà onnipresente nella discografia degli anni ’70 ma da cui la band progressivamente si distanzierà man mano che l’affare punk diventerà un manifesto sbiadito e nostalgico di quella meravigliosa generazione. Ramones è quindi un album ancora primitivo, che a tratti trasborda di energia grezza e di certa vitalità. Incompreso radiofonicamente dai contemporanei fu un inno alla battaglia di tutti i giorni: un album per i reietti, per gli incompresi, un album per chi il punk lo vedeva come l’unica via d’uscita. Dee Dee è stato chiaro: «Dal palco alla strada, è tutto un campo di battaglia!».

Nel successivo Leave Home si possono ritrovare tutti gli ingredienti che avevano contraddistinto il circoscritto clamore metropolitano (e qualche passata nelle classifiche indipendenti inglesi) dell’esodio. Ritmi e durata dei brani imprescindibili, in quella forma di minimalismo musicale con cui la band aveva fatto parlare di sé per le strade e nei piccoli club. Tuttavia i Ramones vengono nuovamente snobbati dalle radio e dal circuito delle vendite USA (eccezione fatta per l’orecchio fino di John Peel). I giudizi furono sempre (anche oggi, ahimè!) contrastanti da parte degli “esperti musicofili” sparsi per mezza America: dalle lodi del Village Voice alle aspre offese espresse dal Detroit News.
Leave Home - RamonesL’album venne registrato a pochi mesi dal primo e fondamentale tour che li fece conoscere in Gran Bretagna e che fece esportare il punk nel vecchio continente (questa è storia, ragazzi!). Il primo concerto si tenne il 4 luglio del 1976 e curiosamente Danny Fields ricorda: « … il che mi sembrò metaforicamente appropriato perché si trattava del duecentesimo anniversario della nostra indipendenza dalla Gran Bretagna, e adesso portavamo alla Gran Bretagna un dono che avrebbe alterato gravemente e per sempre i loro gusti musicali!».
Tornati moralmente vittoriosi dalla tournée inglese (i Clash si formeranno dopo aver incontrato i loro beniamini), i Ramones continuano in incessanti serate tra il C.B.G.B’s e il Max’s, i due locali di punta di NY, ed successivamente iniziano a spostarsi oltre i confini metropolitani, toccando a macchia di leopardo in quei classici mini-tour da “toccata-e-fuga” tutti gli States. L’energia, anche se lontano dai primi fans, rimane la stessa in spettacoli brevi in cui la velocità raddoppia e la chitarra di Johnny sembra fumare, con Dee Dee che saltella come un forsennato per il palco e Tommy grondante di sudore strapazza la sua batteria, Joey appoggiato al microfono in quella sua posa plastica con il busto portato in avanti: io me li immagino così! La generazione del punk 77 non può rimanere indifferente ad un disco, che seppur non brilli per la qualità di produzione, consegna alcune delle migliori canzoni della band.
Gimme Gimme Shock Treatment, frenetica e delirante, ripropone il tema della “salute mentale” tanto caro ai Ramones;  oppure Pinhead che magnificamente rappresenta il sarcasmo dell’intero lp, con quel “Gabba Gabba Hey” finale che si aggrega a “Hey Ho Let’s go…” tra i mantra dei Ramones, passando per la cover di California Sun, di cui i Ramones, senza smentirsi, preferiscono togliere uno dei quattro accordi, rimanendo fedeli alla loro formula minimalista. Nelle prime stampe compare la traccia Carbona not glue, poi sostituita per motivi di copyright (Carbona era un detergente dal marchio registrato), e se si pensa alle controversie sull’inalazione della colla nell’album precedente, è facile fare 2+2.

Con Rocket to Russia, considerato ancora il migliore album dei Ramones, si chiude la prima trilogia e si chiude forse il periodo più felice per la band. Uscito nel novembre del 1977 è prodotto da Bongiovi (come il precedente Leave Home) che evidentemente prende dimestichezza con il sound sporco e grezzo dei Ramones e ne risalta l’energia e la grinta. Dee Dee scrive la maggior parte dei testi, ma un buon contributo lo offre pure Joey che compone Sheena is a Punk Rocker, uno dei brani più popolari ed osannati di tutta la carriera del gruppo.
Rocket To Russia - RamonesL’album non offre nulla di nuovo rispetto ai due precedenti, il ritmo incessante e la velocità diventano oramai una costante per i fans dei Ramones, tuttavia Rocket to Russia risulta più omogeneo e meno spigoloso. Teenage Lobotomy, Cretin Hop, We’re a Happy Family sono avvolgenti tirate, incredibilmente efficaci nei concerti; I wanna be well e I don’t care sembrano attrarsi tra gli opposti, con un incisività tra basso e chitarra che esplode in appena 2 minuti e mezzo. Sono presenti inoltre alcuni riferimenti al cosiddetto “surf rock” degli anni 60: indimenticabile Rockaway Beach ispirata ad un sound alla Beach Boys sponda Pet Sound, come del resto la cover Do you wanna dance? di Bobby Freeman, e ovviamente l’irriverente Surfin’ Bird (dei Trashmen, che compare pure nel film Full Metal Jacket) con la voce di Joey che si snoda in uno spassosissimo gioco di versacci e boccacce.
Per la sua consistenza, Rocket to Russia a differenza dei precedenti entra nella top 50 delle charts americane, a testimonianza che il “rumore” del punk newyorkese si stava facendo largo. Però è anche vero che parallelamente alti gruppi “nati” nel C.B.G.B’s come i Blondie o i Television avevano raggiunto il successo con maggiore enfasi: siamo nell’anno d’oro del punk newyorkese, prima che l’onda inglese faccia di tutta l’erba un fascio. Eppure i Ramones non raccolse mai quanto sperato, e questo iniziò a perseguitare la band che non poteva vivere di incessanti tour e di una vita sempre on the road. Per queste ragioni Tommy Ramone “lascia” la batteria per sedersi davanti al mixer in veste di produttore, una perdita grave e che avrà un eco abbastanza rilevante nella storia della band., secondo Dee Dee: «Da quando Tommy se ne andò non riuscimmo più a ricreare quel classico sound punk degli inizi, ma con Marc guadagnammo un grande musicista». Al suo posto, appunto l’ex Voidoids Marc Bell, alias Marky Ramone compagno di bevute di Dee Dee ed altra testa calda che metterà a dura prova i dixtat autoritari del “sergente” Johnny.
Questi primi tre album rappresentano l’essenza del punk dei Ramones e buona parte del punk newyorkese, una scena meravigliosa nella suo primo vagito entro i confini del C.B.G.B’s e del Max’s. Un momento in cui probabilmente tutto era concesso, e tutto era possibile, una breve parentesi che ha avuto la forza, nonostante il mancato successo mondiale di questa band, di cambiare le sorti della musica per generazioni e generazioni.

La Firma: Poisonheart

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