Signals, Calls and Marches (ep) – Mission of Burma

I Mission of Burma sono stati una band incompresa, atipica, la più controcorrente di tutte le bands del neonato movimento hardcore (già controcorrente di suo rispetto all’establishment). Hanno venduto pochissimo ed hanno registrato solo un disco (Vs. nel 1982), eppure hanno saputo anticipare i tempi ed essere fonte di ispirazione per la successiva generazione alternativa.

Nati e cresciuti proprio nella ristretta comunità musicale di Boston che tuttavia li ha sempre supportati; muovono i primi passi nel 1979 ascoltando quel mitico punk ’77 che aveva segnato un punto di rottura rispetto al modo di intendere la musica. Le college-radio dello stato erano molto più avanti rispetto a quelle, per esempio, di Athens (da dove nacquero i primi naif R.E.M.), e grazie alla WBCN ottennero numerosi passaggi ed un certo piccolo seguito.
Roger Miller già nel 1978 combatteva con il tinnitus (ronzio costante nelle orecchie), nonostante questo non esitò a condividere con Clint Coley la passione per il jazz fusion e per un approccio alla musica decisamente più dadaista. Poco dopo si unì Peter Prescott, che dopo tre audizioni convinse i futuri compagni, grazie a quel suo modo di suonare che Conley definì «beat al contrario». Eppure nonostante i segnali di rottura verso il punk newyorkese e londinese fossero evidenti, mancava un ingrediente inaspettato: Martin Sworpe ed i suoi loop fatti dal dietro le quinte, sono forse la caratteristica più interessante e divertente dei Mission of Burma.
Le operazioni di Sworpe non erano semplici ghirigori di riempimento; durante i concerti prendeva il suono che li interessava da Conley o Miller, lo manipolava come meglio credeva e poi lo rimandava fuori mentre la band suonava. Non c’era nulla di registrato anticipatamente, nulla di preparato, ecco forse perchè la musica dei Burma suona così diversa dal vivo rispetto al vinile da studio (gli stessi componenti non avevano idea di come la loro musica potesse apparire al pubblico). L’unico riferimento artistico verso il punk della prima ora erano i Pere Ubu con il loro approccio intellettuale e quasi elitario; e se pensiamo che l’hardcore era intriso di un cinismo critico, ogni velleità vagamente artistica era vista con sospetto. Tuttavia i Mission of Burma rivendicavano la loro indipendenza ed il loro rifiuto verso l’ordinario imprimendo nella loro musica scariche di rumore ragionato e veloce che, almeno idealmente ed agli inizi, appartengono all’etica hardcore.

Peking Spring e This is not a Photograph furono i primi radio-tape prodotto dai Mission of Burma, acrilici segnali di un punk veloce, rumoroso ma abbastanza nevrotico da trovare consensi della neonata comunità punk bostoniana. Sarebbe stato un singolo importante per la scena, peccato che nel 1979 registrare e distribuire singoli (come avevano fatto i Pistols o i Clash agli esordi) era un qualcosa che non si faceva più. Quando finalmente i Mission of Burma trovarono un’etichetta disposti a promuoverli, il progetto del singolo venne accantonato per un più omogeneo ep.
La Ace of Hearts Records di Rick Harte era una creatura strana, nel quale il concetto di do-it-yourself veniva affiancato ad una certa estetica e meticolosità nel lavoro del suo mentore che era sicuramente lodevole, ma ne allungava i tempi di distribuzione e di promozione delle band.

misson of burma - signals, calls and marchesSignals, Calls and Marches viene registrato nei primi mesi nel 1981, dopo che la band aveva svolto un breve tour toccando le città universitarie ed aprendo nella scappatella dei Black Flag a New York (dove avrebbero incontrato e sedotto il futuro Henry Rollins). Un ep di sei tracce, tre per lato, nel quale la produzione di Harte pulisce le idiosincrasie tipiche della band, sbiancando il rumore oscuro che nei live generavano. Il commento tipico di chi li aveva visti dal vivo era:«I Mission of Burma sarebbero anche una buona band, se solo tutti e tre suonassero la stessa canzone nello stesso momento!». Eppure è innegabile come That’s when I Reach for my Revolver sia un diamante grezzo che esplode d’energia nel suo ritornello e che invita al coro comune. Nonostante il titolo provenga da un estratto di un saggio di Henry Miller, quest’ultimo l’aveva preso in prestito dal ministro dell’aviazione nazista Hermann Göring; Clint Coley (autore del testo) non fu felice di scoprirlo!

Una sorta di scoramento e cinismo critico appartengono endemicamente alla musica dei Mission of Burma e che percuotono per intero l’ep; Outlaw ringhia confusa come una macedonia di rumori e vibrazioni, mentre Fame and Fortune calca una marcia sostenuta di basso e batteria prendendo il punk per i capelli e rovesciandolo su se stesso: «Fame and fortune is a stupid game and fame and fortune is the game I play, I play forever»; ai Mission of Burma non interessa diventare delle fotture rockstars, fedeli quell’etica punk che utopisticamente voleva incrinare fatalmente il meccanismo mainstream.
Ritmi che accelerano e che poi rallentano d’improvviso come in un quadro Dada (uno dei primi 7 pollici registrato fu l’epilettica Max Ernst, omaggio celebre pittore dadaista) e che si fanno via via nervosi, compulsivi, come nella monumentale This is Not a Photograph, nel quale l’andatura swingante sembra deviata e concentrata in meno di due minuti d’estasi.
I loop di Sworpe si possono apprezzare nella androgina Red, mentre i 5 minuti di follia contenuti in All World Cowboy Romance sono un’eresia per la brevità eterogenea della scena punk.
Se Signals, Calls and Marches aveva rappresentato le ottime premesse per aumentare lo slancio della band, una serie di circostanze sfavorevoli minarono l’entusiasmo dei Mission of Burma. Il primo segnale fu dato dal cambio di programmazione imposto da parte di una delle radio sostenitrici, la WBCN, che amputò la scena di Boston del suo autoparlante naturale. Successivamente la confusa organizzazione della Ace of Hearts e il passo che l’hardcore più violento impresse alla scena indipendente nel 1982 (dopo l’uscita di Damaged dei Black Flag, vedi recensione) tagliò completamente fuori gli sforzi artistici ed intellettuali di chi cercava di esprimersi fuori dal coro: hardcore stava iniziando a diventare troppo corporativo e chiuso in regole e dettami che nei pochi anni successivi lo avrebbero portato alla fine.
Vs. del 1982 è l’unico disco registrato dai Mission of Burma, e la sua bellezza e passionalità viene dimenticata da radio e scena punk, preferendo le parole di repulsione esplicite verso ogni cosa, vomitate dalla frangia più integralista del movimento hardcore. Così ci siamo persi un disco “contro” pazzesco! I Mission of Burma abbandonano dopo un anno: il tinnitus, com’era prevedibile, non diede tregua a Miller. Nel 2004 ritornano … ma personalmente non è la stessa cosa. Quel che ci rimane è una band che ha rielaborato l’irruenza del punk, gettando le basi per un’evoluzione della musica alternativa che sarebbe sfociata di lì a poco con band come Sonic Youth e Yo la Tengo.
Ad ogni modo, nessun rimpianto, questo sembra essere il motto di Coley & Co. «La band aveva raggiunto i suoi obiettivi ed ero molto soddisfatto di quel che avevamo fatto, per cui non ebbi la sensazione di qualcosa che rimaneva incompito»

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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