Yard – Veuve

Corrosivi, carichi di suoni potenti, senza disdegnare l’arpeggio melodico o qualche dose di psichedelia, i Veuve esordiscono in long-playing con Yard, in otto brani sprezzanti, distaccati, tirati tutto d’un fiato verso uno stoner sempre dinamico e allo stesso tempo poco incline ai compromessi.

40 yard dash: Nati nel pordenonese nel 2013, il trio composto da Riccardo Quattrin (basso), Felice Di Paolo (chitarra) e Andrea Carlin (percussioni) si getta a capofitto nell’attività live del circondario, registrando dapprima un ep nel 2015 ed entrando qualche mese dopo nell’orbita delle etichette indie come The Smoking Goat Records e di Acid Cosmonaut Records. La logica conseguenza è la pubblicazione di un disco intero, nel quale lo stoner primigenio dei Veuve suona potente e fresco, con leggere contaminazioni hard in alcuni fraseggi di chitarra, mantenendo intatta la tensione di una sezione ritmica adrenalinica ed attraversata da “rallentamenti” capaci di far riaffiorare lineamenti armonici insospettabili per il genere. I Veuve non si risparmiano nella costruzione delle canzoni, spesso molto articolate e dai minutaggi importanti; se la ricerca è minuziosa seppur nasca spontanea ed spesso istintiva, è la capacità di coesione che sorprende brano dopo brano, sfatando così il mito di uno stoner monocromatico e poco accessibile.

Yard - Veuve40-yard attempt: We are Nowhere apre con un arpeggio di sei corde ed un leggero eco che ne amplifica la distanza da tutto il resto, e se il riff si prolunga all’infinito, ecco che man mano passano i secondi, basso e batteria s’inseriscono feroci in una combo fatale. Il gioco delle velocità e dei volumi premia, poiché studiato con molto acume, nonostante il pizzico di prevedibilità insita nello schema verso-coro-verso. Eppure quando s’alzano i volumi ed i grumi di suono, la goduria è assicurata, complice distorsioni fangose e “fuzzose” tenute a bada al riecheggiare dei battiti di batteria e da quel turgido stop&go finale che esalta le capacità dei Veuve. La successiva Days of Nothing rispolvera le vecchie e care camicie di flanella, combinando uno stile di chitarra alla Kim Thayil con il gioco di voci in background tipico del duo Cantrell-Staley: il risultato è in linea con il sound seattleniano, ivi compreso il soliloquio wah a trequarti del brano. Mount Slumber invece è il suono che non t’aspetti, poiché contiene molta più sperimentazione e psichedelia di quello che era lecito aspettarsi alla vigilia; un basso maculato quasi impercettibile sostiene un cantato pulito, che via via lascia spazio a riff delicati di chitarra ed a un approccio più morbido e vagamente deviato.
A questo punto 40.000 Feet apparentemente non ci stupisce più, e con presunzione è possibile comprendere il modus-operandi dei Veuve, che partono sempre in sordina per scatenare il pandemonio di rumore man mano che il brano s’evolve; in questo caso però l’implosione non arriva, lasciandomi spiazzata ma soddisfatta dei ritmi lenti e mescalinici che il brano porta in dote. Flash Forward muove un sinistro ritmo stridente che t’accompagna fino alla fine, mentre Yeti torna nei binari stoner grazie ad un portentoso intro di batteria che presto si connette alle trame di basso ed a infatuazioni sabbathiane annata 1970.
Witchburner alza le velocità, ed una ruvidezza di fondo abrasiva che affiora da un bel basso grumoso e vacuo; chiudo con Pryp’jat’ inno fuzz (inconfondibilmente bigmuff) più vicino alle rive putride del Wishkah che a cavalcate lisergiche hard-rock, le atmosfere terse e sospese del brano richiamano ancora una volta ad elementi molto variegati, colorando di china scura uno stoner redivivo e pronto a nuove battaglie.

40-yard line: forse Yard potrebbe suonare più greve e ruvido, ma grazie alle infatuazioni seventies dei Veuve il disco profuma di nostalgia e di fragranze più aperte alla sperimentazione. La strada tracciata è quella giusta, poiché la musica comunica tensione, passione e grande autorevolezza nella stesura e nella composizione, portando così un genere, abitualmente piuttosto cupo e rumoroso, sulle rive di una imprevidibilità aperta a nuove trame melodiche e a valide variazioni di tema, senza tuttavia snaturarne l’anima energica e dannata.

 

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recensito da Bambolaclara
BambolaClara heartofglass

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