Without you I’m Nothing – Placebo

Dopo solo quattro anni dalla loro formazione, i Placebo ottengono un considerevole riscontro commerciale grazie al loro secondo lavoro, a detta di molti un capolavoro mainstream, Without you I’m Nothing.
Una band eclettica e vellutata nella loro immagine così androgina, capace di sviscerare nelle loro canzoni una parte introspettivo-sessuale molto nascosta che in pochi hanno avuto il coraggio di affrontare. Artefici di  un piccolo “fenomeno” in Inghilterra nella seconda metà degli anni 90′ dalle proporzioni non trascurabili, i Placebo si sono nel corso degli anni accontentati di riproporre un tema musicale che mescola chitarre livide attorniate da effetti speciali abbastanza prevedibili e dall’accento estremamente radiofonico; non riuscendo mai a risolvere né le proprie ambiguità sessuali, tema principale dei loro brani, né a schiodarsi di dosso quel look androgino strettamente legato agli esordi.

Il successo di Without you I’m Nothing. è comunque meritato, i fondatori Brian Molko e Stefan Olsdal, istrionici, confusi, oltre sessualmente ambigui hanno abilmente rimarcato un’esigenza già rilanciata da Marilyn Manson (vedasi Mechanical Animals, sempre del 1998), ossia quella di avvalersi dell’immagine del glam rock e di rinfrescarlo musicalmente con effetti synth prepotentemente digitalizzati: alla fine del secolo una band con tali peculiarità mancava nel panorama inglese. Fortemente ispirati dal look di Ziggy Stardust amputato di glitter, e dalla teenage angst di Nirvana, Smashing Pumpkins e Cure, i Placebo coniugano alla perfezione (toccando gli apici in questo disco) un disagio personale non che nasce interiormente ma che si manifesta esteriormente: suoni crudi e taglienti accompagnati da liriche malinconiche e da un cantato languido e ferito, l’adeguata via di mezzo tra il dark degli albori e le chitarre ruggenti e dalla distorsione facile dei primi anni ’90.

Without you I'm nothing - PlaceboLe unghie delle mani colorate di nero che si alzano dal cornicione nei primi secondi del videoclip di Pure Morning sono l’emblema di questo nuovo senso di appartenenza: era dai tempi dell’hair metal spazzatura che non si vedeva un’ambiguità sessuale così spiccata e pronunciata con non curanza. I capelli dalle spalle corvini di Molko avvolto in un non precisato abito nero, sono l’antitesi del glam-rock tanto caro ai critici musicali che tentavano di decifrarne le possibili influenze  musicali. Un accostamento al glam-rock dovuto, vista la partecipazione di Molko e Steve Hewitt (il batterista) alla pellicola Velvet Goldmine diretta da Todd Haynes (tentativo riuscito a metà di ripercorrere  idealmente il rapporto tra David Bowie e Iggy Pop). La voce a tratti effeminata e a tratti metallica di Molko è la caratteristica peculiare (croce e delizia!) di una band che altrimenti sarebbe lì nel mucchio delle buone promesse. Se i riff di chitarra non sono trascendentali, come del resto gli arrangiamenti, quello che colpisce è però l’amalgama scarna che rende Without you I’m Nothing fresco e vivace per i programma radiofonici. Se di rock-alternativo si deve parlare allora questo riguard lo stile e l’immagine dei Placebo: arroganti ed indecifrabili («A friend whos dressed in leather») sanno ben mascherare una fragilità emotiva evidente nelle liriche.

Prodotto da Steve Osborne (poi sostituito da Phil Vinall che mise mano a Pure Morning) Without you I’m Nothing probabilmente non è nato come i Placebo si aspettavano. La maggioranza di brani lenti sembra aver disturbato le velleità di Brian Molko (che si rifarà con il più movimentato Black Market Music), eppure questi stessi brani sono l’ossatura emotiva e languida di un disco che sembra svelare molto più di quanto i Placebo volessero.
Ask for Answers è una limpida e triste allusione al suicidio, mentre You don’t care about us è la lotta personale interna di Molko contro il proprio carattere scontroso e ferito. Se Brick Shit-House è l’unico pezzo dal sapore quasi punk, Every you, Every me è la fresca ballata pop intrisa di una vena agrodolce che piace tanto alle radio. Un disco dai molteplici significati, che latita ed enfatizza la diversità toccando piccoli e grandi drammi, dalla droga nella malinconica My Sweet Prince, all’alienazione dell’infanzia vissuta in Lussemburgo in Burger Queen, alla cosmica rabbia edipica di Allergic (To Thoughts of Mother Earth). L’apice del languore adolescenziale si tocca con una delle ballate preferite dei fans, la title-track Without you, I’m nothing; in cui i Placebo (e Molko) si mettono a nudo e scivolando giù in un oblio fatto di riff mielosi e ruvidi, proclamandola probabilmente la canzone più triste degli anni ’90.
Without you I’m Nothing rimane la perla assoluta dei Placebo, un disco a senso unico, compatto, facile da ascoltare, nonostante la caramella amarissima. Un disco con rari momenti grigi su un monotematico sfondo nero, come se la band sapesse già che il pessimismo si vende a bene ai teenagers. Questo probabilmente è il difetto maggiore di un disco che non contiene  brani musicalmente eterni (forse l’unica eccezione è Pure Morning) che possano sopravvivere all’andazzo della fine degli anni ’90. Le somiglianze di stile tra un brano e l’altro (ma forse anche tra un disco e l’altro) e la pochezza di certi arrangiamenti sono difetti evidenti che alla lunga portano il disco a suonare stantio anche a distanza di pochi anni: definirlo “istantaneo” e circoscritto al 1998 non è una banalità.
Se oggi ascoltate ancora i Placebo e non siete teenagers, allora probabilmente c’è un grosso nodo da sciogliere!

 

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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