Verdena – Verdena

L’esordio dei Verdena sembra fatto per chi era troppo giovane per aver vissuto l’originale ondata grunge, ed agli albori degli anni 2000 si ritrova adolescente a decifrare cosa voleva dire esserlo diec’anni prima e segnarne con la matita rossa le differenze. Eppure il trio di Bergamo (i fratelli Ferrari e Roberta Samarelli) non chiarisce le idee a quei teenagers, alienati da un rete globale non ancora pronta per i social-network ed annoiati cronicamente dagli ultimi videogames, anzi ne enfatizza la componente teenage angst, sottolineando la paranoia stanca del vivere in provincia e quella malinconia di fondo di chi ansima per la fretta di vivere.
La stagione discografica italiana vive ancora l’onda d’urto che i CSI hanno dato alle classifiche commerciali dopo l’alta rotazione del singolo Forma e Sostanza, mentre Mtv Italia vive la sua stagione migliore grazie alla presenza quasi quotidiana di Bluvertigo, Subsonica e Max Gazzé nei palinsesti televisivi; così non stupisce che una band praticamente sconosciuta come i Verdena possa non solo registrare un disco per la Black Out (succursale della major Universal), ma che nel giro di poco tempo si ritrovi con un videoclip che passa ogni paio d’ore su Mtv.
In cabina di regia siede Giorgio Canali, ma a differenza di altre produzioni, qui la sua mano sembra meno calcata, lasciando alle liriche di Alberto Ferrari quella libertà necessaria per potersi esprimere al meglio. Lungi dal cantautorato, i Verdena cantano e suonano di quello che conoscono, lasciando all’alienazione ed ad un cut-up involontario il campo libero, e pazienza se i temi sono alquanto ripetitivi e lo schema compositivo talvolta latita tra grumi grunge già sentiti e paranoie di mal d’amore.
verdenaValvonauta ed il suo «mi affogherei … » entrano di diritto nella storia della musica alternativa nostrana, grazie ad una melodia di chitarra ruvida e secca, mentre il basso della Samarelli e la batteria del giovanissimo Luca Ferrari (all’epoca ancora minorenne) riempiono con grande autorevolezza gli eventuali puliti. Graffianti e molto coesi, i Verdena rimangono fedeli alla struttura grunge dei volumi, che puntualmente esplodono in chorus disperati e lancinanti. Tuttavia rispetto ad alcune band post-grunge americane nate sull’onda di Nirvana e Pearl Jam, che ben presto sfoggiarono un pop orecchiabile con distorsioni azzeccate nei momenti giusti, i Verdena rimasero fedeli alla propria natura “underground” e provinciale, risultando forse troppo poco commerciali in certi passaggi, ma guadagnando in fatto di profondità ed serietà. In Italia a dire il vero, i Verdena non sono mai davvero piaciuti, forse perché poco comunicatori, forse perché a tratti caustici e depressivi, forse per quelle liriche viscerali e non sempre facili da interpretare. Tuttavia il colpo era forte e le 40.000 copie vendute all’esordio furono un piccolo record per degli esordienti alienati da Bergamo.
Ovunque apre le danze senza troppi proclami da camicie a quadri, anzi con echi sabbathiani nel finale che sembrano presagire ad un escalation di suoni e feedback rallentati; in bella mostra pure quel tipico ermetismo lirico di Alberto Ferrari che accompagnerà le produzioni dei Verdena per almeno altri due album, prima di trasformarsi in cantautorato minimale. L’attacco di Pixel invece ha un debito grossissimo e palese con Today dei Smashing Pumpkins seguendone circa le dinamiche, mentre L’infinita Gioia di Henry Bahus (compiti per casa: cercare chi era Herny Bahus!) porta in dono una carica cobalto di alienazione e di non accettazione che culmina in «Nei miei neri e blu non mi sembra di trovarti mai / Ora sento che io dovrei lei vomitare». Vera e Zoe sono le ballate amare che sembra fare rima con le memorie del sottosuolo di Dostoevskij tanta è la carica languida e sommessa, mentre i ritmi si risollevano con Dentro Sharon, altro pezzo dall’alto tasso di immedesimazione, con l’ennesimo chorus da urlare a squarciagola: «Ebbene posso insistere / Confusione».

Viba è il secondo ed ultimo singolo estratto e mima (forse anche meglio!) le orme di Valvonauta, pronto per girare la manopola del volume tutta a destra. Una struttura tirata ed essenziale di chitarra, nel quale la batteria ed il basso ne stemperano la tensione, anche grazie ad una dinamicità fresca e non così grunge come verrebbe da pensare. Ad ascoltare bene il disco, i Verdena si stanno evolvendo, e la conferma la si trova presto con Eyeliner, un brano di una complessità e di un’andatura diversa dal lief-motiv del disco, capace di creare una tensione intestina davvero truce e brutale, ma allo stesso delicata e stanca. Verdena è un disco d’esordio che ha fatto molto di più di quello che deve fare un qualsiasi disco d’esordio, catapultando negli anni a venire la band verso una mai completa accettazione da parte del pubblico ma soprattutto della critica; spesso difficili da interpretare e poco inclini alla visibilità mediatica, i Verdena hanno diviso con la loro musica sempre in continua evoluzione più di qualche esperto in materia: ma non erano semplicemente i Nirvana nostrani ??!

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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