Velluto (ep) – Le Città di K

Le Citta di K - VellutoIl rock abrasivo del trio Le Città di K porta indelebilmente in dote i nembi sonici plumbei che fanno da sfondo alla trilogia letteraria di Ágota Kristóf da cui la band bergamasca s’ispira. Eppure Velluto, a discapito del titolo, è un esordio livido e tagliente nella sua compattezza, capace di innescare tanto emozioni primordiali quanto sensazioni agrodolci. I tre “cittadini” di questa metropoli fantasma e cupa, si districano con grande abilità tra un rock non scontato made-in-italy con sinistre influenze synth, ed una ricerca dell’armonia quasi naturale. Le liriche sono impregnate di solitudine meditativa e di una sorta di timorosa apatia figlia dell’indecisione: il tempo vive di attese e di incertezze, poiché la ricerca di un senso (lo stesso cantato nell’apertura di Rosso come il Cielo) molto spesso è una ricerca vana e senza speranza.
Le Città di K imbastiscono una sottile ma costante tensione per tutto il disco, irrorando con meticolosità i propri brani di pensieri appena pronunciati, tentativi solo immaginati, azioni interrotte dall’incapacità di decidere: il libero arbitrio così si avvolge su se stesso, cade in un dolce oblio che non aspetta altro che l’inverno per scendere i gradini del proprio tormentato inferno (da La Resa).

Arrangiamenti eleganti, che tuttavia non disdegnano roboanti cambi di tempo, sono perennemente sorretti da una melodia pulita ed armoniosa, limata a tratti da synth fluttuanti e soffici (a cura di Giorgio Mastrocola, che sovraintende la produzione artistica). I giochi ed intrecci di chitarra tra Davide Zanni e Paolo Armati sono una delle peculiarità più evidenti nella costruzione dei brani, irrobustiti dalla ritmica pulsante del basso di Salvatore Lentini e della batteria del “visitatore” Teo Marchese. Se il piglio a volte scivola nel pop-rock con intenti cantautorali (specie nel rotondo singolo Dodici), è il percorso concettuale del disco a rendere Velluto un lavoro intelligente e profondo, poiché abile a scavare con minuzia nell’animo umano. Tra annullamenti “maudit” quasi metafisici, passando per una pantoclastia appena accennata, ma feroce nella sua rabbia cieca, Le Città di K mettono in originale relazione il tempo e l’uomo, senza cadere in sbiadite trappole di retorica. Tuttavia questa dolce decadenza è indulgente e lascia spiragli di luce sia ne Il Tempo (che ho nascosto) che nella finale Molti Modi; indicando nei legami e nelle convinzioni delle solide àncore di salvezza.

Registrato nello studio milanese Le Ombre, Velluto è un esordio breve davvero ben confezionato sia nella forma (arrangiamenti) che nella sostanza (liriche), trovando nei riferimenti culturali e letterari del passato (dai poeti maledetti fino al realismo dei romanzieri russi) paralleli esistenziali da contrapporre al presente, senza scomodare facili e superficiali dilemmi generazionali. Le Città di K confermano la bontà di un progetto che non aspetta altro che misurarsi sulla lunga distanza … le potenzialità per fare bene ci sono tutte!

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recensito da Poisonheart

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