Todestrieb – La Ragazzina dai Capelli Rossi

Com’è possibile accomunare le teorie filosofiche di Freud con quelle fumettistiche di Charles Schulz? A pensarci bene, i due mondi non sono poi così distanti, in quanto il conflitto psicologico del primo si riflette, in maniera ovviamente più semplice, nel combattuto personaggio di Charlie Brown. La Ragazzina dai Capelli Rossi, acuto quartetto elettro-pop da Bologna, unisce i puntini della vita vissuta, e segmento dopo segmento ecco raffigurare il volto nascosto della morte: Todestrieb è un disco diversamente positivo, umano (troppo umano) ed estremamente riflessivo.

Schopenhauer ed il bracchetto con le orecchie nere: Lo spoken-word lucido e sincero presentato da La Ragazzina dai Capelli Rossi non deve innanzitutto fuorviare da giudizi di artisti più acclamati, in quanto gli intenti e le modalità sono estremamente diverse. Le parole raccontate con enfasi e trasporto da Marco Monaco, vengono immerse con delicatezza in un bagno di beat pulsanti di drum-machine e di armonie synth (Fabio Carbone e Andrea Lalli), mentre la chitarra barocca di Alessandro Graciotti ne colora i contorni più melodici con tinte pastello. Il chiaro-scuro tra la densità emozionale del raccontato e l’impersonale tonalità delle fredde melodie digitali, si riflette anche sulle tematiche che Todestrieb tratta: piccoli condensati di vita, nel quale la morte e la fatalità fanno sempre capolino ad un certo punto del racconto. Thanatos ed Eros vivono in ogni brano (come del resto vivono invisibili nelle cose di tutti i giorni), come permane una certa vacuità che mira all’infinito e che porge il suo sguardo sempre oltre l’orizzonte delle faccende materiali: c’è molta sensibilità e spiritualità ne La Ragazzina dai Capelli Rossi, come il desiderio di afferrarla ed averla (di immaginarne persino il volto) è altrettanto platonico ed illusorio.

Todestieb - La ragazzina dai capelli rossiEmpedocle e il ragazzino con la coperta: Il rintocco di pianoforte ed un’incalzante melodia di leggere percussioni prepara un dolce terreno di foglie morte per un apparente inno alle “ragazze borghesi“, In pioggia rossa c’è cantautorato, c’è vita, c’è una lieve follia anti-sistema, quella strana maniera di allontanarsi da tutto ed estraniarsi, declamando la natura di piccoli uomini nelle loro piccole disperate vicende. Se il contrasto armonico mantiene sempre una cura maniacale per le dinamiche ed i cambi di tempo, il cantato/parlato crea puntualmente tensione, snocciolando piccole perle poetiche in bilico tra Whitman e Mimì Clementi, mantenendo un personalismo sempre saldo e piuttosto spiccato. Gargoyles, scivola via più isterica grazie ad una drum-machine martellante e a scorribande di synth acute e stagnanti, mentre una fiaba di malinconia e disperazione racconta il conflitto di una giovane ragazza (“come si scampa all’orrore il sabato se sei vergine e hai dentro di te il diavolo“); nel finale arazzi di elettronica stroboscopica infiammano un climax emotivo davvero notevole. Riferimenti “sonici” in Tutto era vivo, nel quale il battito del basso s’intreccia alle trame dei synth in un connubio che enfatizza la morte ricreando però la magia della vita; mentre in Cos’è il male i toni si fanno più disinvolti, cercando di evocare domande e dubbi apparentemente banali (del tipo, dove vanno le anatre quando gela il lago), ma che sottotraccia cercano di rispondere allo smarrimento ed alla desolazione di un gesto estremo auto-compiuto, senza tuttavia risolvere mai lo sgomento della perdita per chi sopravvive. Le immagini che La Ragazzina dai Capelli Rossi evocano sono a tratti illuminanti, a tratti crude e viscide; come rimanere indifferenti a Lettera, struggente atto d’amore e risentimento verso una relazione metropolitana esaurita tra sporcizia ed indifferenza (“faccio l’amore con attenzione ed evito di venirle nel cuore“); riferimenti letterari e poetici che ritrovano spinta ed energia, evidenziando sempre uno smarrimento emotivo e di ideali che prende forme quasi paradossali e grottesche. Se Dormire soli si lancia a riflessioni freudiane a ritmo anfetaminico (quasi come quelle di Charlie Brown nelle strisce di Schulz), Cosa sia andata a cercare è la struggente e dolorosa ricerca dell’innocenza, mentre Vivian (dedicata alla scrittrice Vivian Lamarque) gioca come fatto per tutto Todestrieb, con pezzi di vita e di morte, inanellandoli come opache perle di una vecchia collana, restituendo all’ascoltatore smarrimento e sensazioni contrastanti che dovranno essere risolte in separata sede.

Nietzsche ed il bambino dalla testa rotonda: La Neve Guarirà chiude in maniera eccellente Todestrieb (bella anche la cover-art a cura dell’artista Pasa ha la gola colorata), toccando con linguaggio diretto e sensibile le tematiche di un concept ben articolato, nel quale i confusi personaggi raccontati sono legati da una disperata agonia di morte che brama un’insaziabile sete di vita. La musica compatta, che lega assieme archi e beat digitali, e la poetica enfatica de La Ragazzina dai Capelli Rossi emozionano per profondità e maturità compositiva, creando un connubio originale (anzi uno stile vero e proprio), un marchio distintivo che promette di avere un’evoluzione ed un seguito sia in liriche sempre più profonde che in una musica sempre più spiazzante.

 

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recensito da Bambolaclara
BambolaClara heartofglass

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