The Saint (ep) – Jarman

Derek Jarman è stato uno dei registi/scenografi più importanti e ahimè meno conosciuti della nostra recente cultura, un artista che ha saputo collaborare con musicisti e band di un certo calibro intellettuale, dall’ambiguità di Morrissey alla follia dei Throbbing Gristle. Quindi a maggior ragione se dei ragazzotti romani con attitudine hardcore e tanta curiosità nello sperimentare, colgono l’estro e il modo di raccontare del regista, per formare una band dal sound redivivo, che sputa e colpisce con vigore graffianti riff di chitarra e basso … beh che dire, ti fa un pò pensare …

The Saint ep - JarmanI Jarman non sono la solita combriccola indie, che gioca con qualche effetto qua e là; nell’essenza primigenia c’è molto di personale, un garage dal chilometraggio illimitato, senza compromessi, che se ne frega essenzialmente di quello che  succede attorno, non conosce mode né convinzioni: più vicini all’etica DIY come non mai!
The Saint rappresenta una prova di maturità e sostanza, costruita sulle solide basi di uno stile chitarristico asciutto, fatto di riff ipnotici e rallentati, ma che sanno alzare il volume quando e se necessario. Sostanzialmente in linea con l’underground di fine anni ottanta dopo le pulizie di primavera: un muro sonoro articolato, pieno, senza tempi morti, nel quale batteria e basso hanno il loro peso nella costruzione dei brani. Niente liriche, niente voci, niente ululati: ottima scelta, finalmente!

Corrono rasenti al suolo, scuoiano l’epidermide, aderenti alla lama di un rasoio ricco di feedback, potenti e mai casuali. The Scene of Inclusion & The Obscene of Exclusion è ruvido e sporco nella sua astratta perfezione, non ha istinti onirici o giochi sonori fini a se stessi. Psichedelici? Forse, ma rigetterei il temine per un più consono noize ragionato da scantinato.
I Jarman continuano ad omaggiare quel particolare tipo di cinema visionario, vedasi Kubrick in September, ed in un certo qualmodo la loro musica rappresenta in seno le contraddizioni e le illuminanti memorie di quel genere d’espressione visiva. Un timbro contratto che si schiude senza preamboli, passa dalla nebbia al chiaro, il tutto senza quei, talvolta fastidiosi, cambi di tempo altalenanti e meccanici, dediti a far ballare la gente!

Spirano venti metal (vagamente alla Motorpsycho, ma anche no!) in The Saint Who Taught Mussels Being Wiser, ed un pizzico di ironia celata sotto le potenti movenze del basso, tuttavia la rotta è sempre quella di un garage propositivo, a tratti quasi orecchiabile, ma fedele al suo credo! Il lento risveglio di Bioluminescence of The Deep Sea Creatures ricorda e forse omaggia una certa wave proto-anni ottanta intrisa di atmosfere spettrali annegate in un bicchiere ghiacciato: analgesico per l’anima!
Versatili, interessanti e bravi anche nelle arti visive … vedasi videoclip! Piaciuti  !!!

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recensito da Gus
Gus heartofglass

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