the record – boygenius

Tra un promettente cammino solista ed un breve esperimento condiviso, Julien Baker, Phoebe Bridgers e Lucy Dacus, ciascuna a modo loro, avevano fatto intravedere il loro talento di scrittura ed interpretazione, rinfrescando il comparto folk-pop introspettivo. Fisiologico, dopo le buone sensazioni dell’EP d’esordio (leggi recensione), riprovare ad unire le forze per il primo Lp sulla lunga distanza a firma boygenius (rigorosamente in minuscolo). L’esperienza fin qui maturata (tre dischi per Baker e Dacus, due tra cui il pluri-acclamato dalla critica Punisher della Bridgers) e la consapevolezza di dover alzare l’asticella – se non altro per essere passate dalla Matador alla major Interscope- hanno delineato una certa attesa per the record (pure questo in minuscolo). Vagamente autoreferenziale, il progetto boygenius poggia su una prorompente base femminile -Catherine Marks co-produce assieme alle tre cantautrici-, eppure non si rinuncia a scomodare una folta squadra tutta losangelina in assistenza alla produzione (Ethan Gruska, Melina Duterte, Sarah Tudzin, Tony Berg), particolare piuttosto evidente nella patinata e puntuale resa sonora finale ai Shangri-La di Rick Rubin a Malibù. the record non lascia scampo a quelle piccole sorprese insiste nell’EP per Matador; tutto cade a puntino e lineare, le chitarre attaccano un ruvido crunch quando è lecito aspettarselo, i volumi salgono con precisione lineare, gli interscambi vocali tra le tre songwriters sono quasi chirurgici: tutta la produzione è perfetta, nessuna esitazione, nessun indugio. 

boygenius - the recordA tratti su the record sembra prevalere l’idealismo sulle reali intenzioni del disco, o meglio, il peso di esporsi e di farsi portavoce/testimone verso una maggiore equità nei rapporti uomo-donna nel bucolico mondo civilizzato, combattendo mansplaining e tutti quegli atteggiamenti discriminatori verso le donne, ponendosi infine in aperta antitesi con il conservatorismo di stampo patriarcale, sembra gravare sulla spontaneità ed imprevedibilità delle canzoni, che per la verità sono ottime, specialmente quelle candidate a singolo.
Più sbarazzina Julien Baker nell’interpretare 20$ dal piglio quasi indie, mentre suona liberatorio l’intreccio di voci in Emily, I’m Sorry con Phoebe Bridgers che finalmente esce dal copione di Punisher, mentre non si può più ignorare il talento di scrittura di Lucy Dacus che nel folk-pop True Blue regala la migliore prova del disco. La stesura in comune di Cool About It o di Not Strong Enough non fa che accrescere la cifra stilistica del disco, seppur il vizietto di finire nei noti territori del folk sia difficile da estirpare. Delle tre è Julien Baker ad uscirne con maggiore convinzione e grinta, anche grazie ad un brano corrosivo come Satanist (in ricordo o biasimo dell’infanzia cattolico-conservatrice); Lucy Dacus invece rimarca ancora una volta la propria sicurezza in fase di interpretazione: We’re in Love è un piccolo tuffo al cuore. Alla prezzemolina Phoebe Bridgers (tanto a suo agio nei duetti con Conor Oberst e Matt Berninger, quanto nelle -giustamente piccate- dichiarazioni contro Marilyn Manson e Ryan Adams nel momento della caduta in disgrazia) sembra giovare la presenza delle due giovani colleghe, riuscendo finalmente ad avventurarsi con prudenza oltre la comfort zone di quel folk già apprezzato nei trascorsi solisti. 

Il progetto boygenius non perde la freschezza che ne aveva contraddistinto il mini esordio, così the record si conferma -nel suo non sempre omogeneo insieme- un lavoro che gode di una certa spontaneità e spavalderia, edulcorata da una produzione palpabile. Tra qualche trascurabile difetto di forma ed ottimi esempi di songwriting sorretto da trame melodiche interessanti, the record si mette nella scomoda posizione di poter ambire a diventare un classico del genere, come di finire nel dimenticatoio tra poco più di un anno. 

 

recensito da Poisonheart

 

 

 

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