Per un amante delle sonorità variopinte come il sottoscritto, i Rage Against the Machine rappresentano l’unica vera alternativa al grunge negli anni novanta. Una band che sapeva come esprimersi, sapeva parlare ai giovani (mica sempre e solo no-global!), capace di alzare un polverone rock-funk come nessuno è mai stato in grado di fare.
Vado a recensire un disco che per molti rappresenta la nota meno energica della discografia della band, ma che secondo Gus è la summa del pensiero sovversivo-musicale del quartetto di Los Angeles .
The Battle of Los Angeles contiene il seme della carica primordiale dei primi RATM, accompagnato da un sound meno ruvido rispetto ai capolavori precedenti come l’omonimo (1992) o Evil Empire (1996). Costellato da buone hits, non è un mero disco commerciale, né tanto meno giunge a compromessi con facilità. Aggredisce l’apparato uditivo, ma sapientemente manifesta un malessere generazionale molto evidente: la lotta come forma più incisiva di comunicazione!
Contro il bieco-capitalismo che trova nel castello di Wall Street, un quartier generale illustre contro il potere soffoca-libertà: al bando la globalizzazione, al bando le multinazionali. Il gruppo più politicizzato di un Dylan incazzato, alla stregua forse degli eccellenti MC5 di Detroit. I tempi sono cambiati, ma il nemico sembra essere lo stesso, un gradasso e fetido materialismo che già negli anni ottanta trovava la sua immagine dell’insegnate-cartoon di The Wall. Non sto fuorviando, il modo di esprimersi a tinte rosso fuoco è il medesimo, i RATM non vogliono intellettuali allusioni alla Waters, preferiscono sporcarsi le mani e andare giù in strada a manifestare il loro rock schizofrenico, sostenuti da altri migliaia di giovani con lo stesso spiccato senso sociale!
Siamo nel 1999 e certi eventi storici non sono nemmeno immaginati nei film-catastrofici dell’epoca; Bush non è ancora alla casa bianca, governano i democratici a cui i RATM non risparmiano nulla. Non ci sono fetidi querelle di partito, la band non tifa per nessuna fazione, ha ben chiari i propri ideali e fino alla morte (talvolta sembra proprio così!) è pronta a sostenerli. Un personaggio sanguigno come Zack De la Rocha non lo vedremo mai più nei palcoscenici, sostenuto da uno dei migliori chitarristi di questa generazione, il fantasioso Tom Morello che suona la sua sei corde a metà petto con uno stile inconfondibile.
Aggressivi, lunatici, esplosivi: Testify apre ad un tifone sonoro che lascia terra bruciata al suo passaggio. Un funk che digrigna i denti, spiattellato con il solito carisma dai proclami lanciati come palle di fuoco rap da De la Rocha. Rimangono essenzialmente fedeli al rock più acido, creando un nuovo genere di cui sono gli unici capostipiti (please, nessun riferimento ai patetici Limp Bitzkit!). Contro i motori bellici a stelle e strisce, contro i magnati del petrolio, contro i dollari lanciati da fatiscenti Robin Hood che illudono i proletari per poi derubarli una seconda volta.
Guerrilla Radio sale come un veleno tra le vene squarciate da un rumore portentoso. Maestoso il tocco del basso di Y. tim K., che s’inserisce nel funk scivoloso di Morello. «Who staff the party ranks more for Gore or the son of a drug lord …»: nessuno è al sicuro!
Sleep now in the Fire porta in auge una vecchia paura degli americani: una simbiosi tra democratici e repubblicani coalizzati in un unico alieno candidato: vedasi un video epocale per delucidazioni. Band definita dai bacchettoni conservatori anti-familiare e persino filo-terroristica; con la buona pace di Michael Moore!
Adrenalina unica per Calm Like a Bomb, dalla discriminazione sociale alla dedica a Zapata: «Born of Zapatas guns / Stroll through the shanties», in un rutilante rap che mai nessun nero ha saputo interpretare! Born of a Broken Man, rivolta il calzino anni settanta grazie ad un giro di chitarra che fa voglia di spogliarsi e danzare tra la pioggia artificiale degli idranti di Central Park.
La musica dei RATM è come lo stridere fastidioso dei pneumatici lungo una strada bagnata. Irritanti e così ricchi d’energia, tant’è che un atomo d’uranio non può contenerne tanta. Maria è un rap urbano violentato e masticato con l’odio: ingiustizie sociali e rivincite ideali, nel segno di una spiritualità surgelata, come cibo precotto. Ashes in the fall è una delle canzoni più sperimentali del disco, e sembra aprire la band a nuove sonorità, con il giusto apporto di soporiferi tocchi digitali. Invece è solo un illusione: De la Rocha lascia i RATM ostentando una bipolarità repulsiva tra gli intenti artistici e quelli d’attivista dello stesso cantanta. Band, che paradossalmente trova in Chris Cornell un nuovo frontman, cambiando nome e genere, per non dire incisività!
Un epoca è finita!