Terra – Le Luci della Centrale Elettrica

All’appello, in questo 2017 ricolmo di uscite importanti pre-primaverili, non poteva mancare la dialettica generazionale dall’alto tasso di immedesimazione de Le Luci della Centrale Elettrica. Se in Costellazioni (Targa Tenco 2014), Vasco Brondi alzava indelebilmente l’asticella della propria carriera musicale, maturando a livello di composizione e scrittura verso un mezzo-cantautorato convincente, in Terra questo lavoro prosegue e progredisce, accentuando il contatto ed i legami con l’attualità sociale. Salta subito all’orecchio una dinamica tribale nelle ritmiche, mosse da un selvaggio divenire che rende più fresca la scrittura ed il cantato di Vasco Brondi, che abbandona apparentemente la chitarra acustica (e gli slang adolescenziali) per indossare melodie più universali e cosmopolite. Tuttavia, rimangono inalterate sia un certo tono confidente, che  alcune immagini azzeccate ed i viaggi interstellari, senza far scadere l’architettura delle proprie canzoni in un bazar tropicale e variopinto, ma dosando sapientemente il lato selvaggio e romantico di queste 10 ballate terrene.

Terra - Le Luci della Centrale ElettricaDopo un periodo passato in viaggio -successivo al tour di Costellazioni-, Vasco Brondi svuota il proprio taccuino di esperienze passate, refusi dei diciott’anni, reminiscenze inconsce, riflessioni ed osservazioni quotidiane, e le getta alla rinfusa su un pezzo di carta com’è suo stile. Ne esce un disco attuale nei contenuti, senza alcuna velleità iniziale di esserlo, ove guerra, religione, multiculturalità ed amore s’incastrano in un ritratto contemporaneo svuotato dal peso dell’etica e della coscienza.
A forma di Fulmine, ad esempio con cui si apre in maniera soffusa e sincera Terra, snocciola un elenco di possibilità e di contraddizioni a cui siamo immersi ed assuefatti tutti i giorni, trovando nel tono crepuscolare di Vasco Brondi quelli piccole verità che mirano all’assoluto e che flirtano emotivamente con l’ascoltatore («Possiamo illuderci ballare stando fermi e fare caso a quando siamo felici»). Eppure il particolare che salta immediatamente all’attenzione, riguarda la matassa di arrangiamenti caldi e cosmopoliti (alla produzione oltre a Brondi, anche l’immancabile Federico Dragogna de I Ministri), che rutilanti echeggiano nella tarantolata Qui, e che in maniera più o meno evidente ritornano lungo tutto il disco.
Tuttavia è solo con Coprifuoco che entriamo con entrambi i piedi nel nucleo di questo lavoro ragionato de Le Luci della Centrale Elettrica, ove il cenno personale ad un viaggio di più di diec’anni prima a Mostar rievoca con effetto domino una serie di sensazioni mosse da un ritmica indiana e molleggiata, che alla fine delineano paure e gioie che accomunano tutto il genere umano. Riprendendo gli scritti del biologo Jared Diamond, Brondi canta senza indecisione uno dei ritornelli migliori della propria carriera: 

«Cos’è che ci ha fatto inventare
La torre Eiffel
Le guerre di religione
La stazione spaziale internazionale
Le armi di distruzione di massa
E le canzoni d’amore»

Nella parte centrale del disco, ecco i contenuti più pragmatici e selvaggi: Nel profondo Veneto a ritmo di danza africana avviene il crollo delle illusioni (osservato anche come momento di crescita!) di chi ritorna nella terra natia dopo molto tempo svuotato dalle sognanti aspettative; oppure nella lenta e meravigliosa Waltz degli Scafisti, ove vengono assorbite vicende diverse da regioni diverse, che in realtà è la stessa storia raccontata solo con linguaggi differenti («Gli scafisti si orientano con le stelle / Le nostre storie sono troppo belle / Non cercare di capirle, non cercare di capirle / Non cercare di capirle»). Se in Iperconnessi si ritorna a fraseggi e movenze più consone al precedente Costellazioni, mentre in Chakra (probabilmente il pezzo più cantato in coro di Terra) la meditazione passa attraverso il proprio vissuto e si manifesta in un ritornello avvincente, triste e romantico alla maniera di Vasco Brondi.

Stelle Marine, così per come si era presentato come singolo lo scorso febbraio, portava già in dote il differente approccio (per non parlare di prematura rivoluzione) de Le Luci della Centrale Elettrica, tuttavia alla lunga il brano vanifica il mordente selvatico, in favore della genuinità e della poetica sincera di Moscerini, diamante grezzo dai riflessi del tutto particolari. Si chiude con Viaggi disorganizzati, altro brano spogliato dallo slang mediterraneo e dinoccolato che avevamo ben apprezzato ad inizio disco, riuscendo con buone liriche a chiudere in maniera non scontata, anche se un tantino prosaica («Questi sono giorni di miracoli / Di viaggi intergalattici, cuori freddi tecnologici / E miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di veicoli»).
Terra (bellissima la cover art tratta dall’opera di Ugo Rondinone, Seven Magic Mountains) da possibile capitolo rivoluzionario nella carriera di Vasco Brondi (specie per gli arrangiamenti fin qui innovativi), si attesta man mano che lo si ascolta, a naturale prosecuzione di Costellazioni, trovando buoni spunti e legando tantissimi elementi diversi tra loro, tali da rendere le canzoni estremamente dense (come sempre!) di sfaccettature e di rimandi; confermando così Le Luci della Centrale Elettrica come uno dei migliori interlocutori di questa generazione multiculturale.

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recensito da Poisonheart

 

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