Talking Heads 77 – Talking Heads

You start a conversation, you can’t even finish it
You’re talking a lot, but you’re not saying anything
When I have nothing to say, my lips are sealed
Mi chiamo Camilla e racconto della musica che riposa nel fondo della mia anima … e la condivido con voi …

Nonostante la militanza nelle serate punkeggianti del C.B.G.B.’s (più che altro perché David Byrne viveva in un loft in Chrystie Street, nel Lower East-Side), i Talking Heads erano sicuramente la band che più si avvicinava all’antitesi del punk newyorkese: chitarra tagliente ma pulita, linee di basso funkeggianti alla maniera dei bianchi, ed un look sobrio e “regolare”, che contrastava non poco con i giubbotti in pelle dei Ramones, o gli abiti trasandati di Richard Hell.
Una vera “artistoide” che, almeno nella prima ora, ha contraddistinto la musica dei Talking Heads, nati per iniziativa di Byrne e di Chris Frantz proprio in un istituto d’arte di Rhode Island, a cui successivamente si unì la bassista (e compagna di Frantz) Tina Weymouth. Il trio, le cui abilità tecniche si distinguevano dalla sparuta massa newyorkese, prediligevano nella loro musica un approccio senza dubbio performativo: alla sola chitarra ritmica di Byrne, venne affiancato lo spinoso ed acido basso della Weymouth, aggiungendo dosi via via sempre più massicce di funkadelica, ed una composizione dei testi originale e controcorrente («La sfida era di prendere qualcosa che dal punto di vista dei testi fosse puramente strutturale, senza alcun contenuto emotivo, per poi caricare l’esibizione di accessi emotivi», spiega Byrne). La rottura con la tradizione rock, e -soprattutto nei modi e nelle forme- con il presente newyorkese, ha reso i Talking Heads unici in quel 1977, che oramai annunciava la fine della festa punk, aprendo successivamente (e con l’incontro-folgorazione sulla via Damasco con Brian Eno) ad una stagione post-punk, ove la musica di Byrne e compagni assunse significati sempre più profondi, verso la continua ricerca di come “destutturare” la musica moderna.

Talking Heads 77Abolendo quasi del tutto tematiche su amore innamorato, guerra e sesso, i Talking Heads realizzano con l’esordio Talking Heads 77 un capolavoro concettuale di words & music, senza velleità naïf o improvvisazioni fine a se stesse, ma con il preciso obiettivo di fornire delle alternative artistiche al rock mainstream dell’epoca. Si apre con un quartetto di brani unici nel loro genere, da Uh, Oh, Love Comes to Town (e la sua analisi ironica ed analitica sull’amore come forma di distrazione, «Jet pilot gone out of control, ship captain on the ground / Stock broker make a bad investment when love has come to town»), passando per la criptica New Feelings ed il tema ricorrente dell’incapacità di comunicare con le persone, arrivando al tempo di marcetta militare di Tentative Decision, scivolando leggeri verso la celeste e velvetiana Happy Day (una sorta di Sunday Morning frizzante ed acrilica).
Il funk “bianco” straripa in Who is it? (ricordando i Golden Years bowieani), e si trasforma successivamente in un brano quasi psichedelico con la ruvida No Compassion, in cui la voce di Byrne somiglia ad un sibilo lamentoso ed isterico. I cambi di scenario sono costanti e non lasciano l’ascoltatore altra soluzione che entrare completamente nella musica dei Talking Heads, che attraverso ritmi mediamente veloci si allinea al punk solo parzialmente nella forma, ma completamente nell’ideale di rottura con la musica del passato. The Book I Read esemplifica istrionismo secco di Byrne che conclude con un laconico «The book I read was in your eyes»; giocosa ed oscura allo stesso tempo è Don’t Worry about the Government, con il suo vago eco di inno, movimentato da educate campane di celebrazione in sottofondo.
La parte conclusiva del disco annovera rapidamente la calda e nostalgica First Week/Last Week … Carefree, preparando un terreno sdrucciolevole per l’intro di basso più tenebroso ed introspettivo di cui ho memoria: Tina Weymouth apre a Psycho Killer con una tensione che non si stempera nemmeno quando Byrne prende il microfono per impersonare il Norman Bates della situazione, con una delicatezza ed una spensieratezza che contrasta decisamente con la ritmica puntuale del brano. Chiude i giochi Pulled Up, paradossalmente l’estratto più punk di tutto il disco!
Talking Heads 77 non è solo l’esordio di una band che nel triennio successivo getterà le basi assieme ad Eno ad una rivisitazione totale (e quasi definitiva!) della musica, sia nell’approccio da studio, sia nelle avanguardie compositive; ma è soprattutto un disco godibilissimo ed ispirato che ha saputo insinuare il dubbio a chi nel 1977 vedeva solo capelli lunghi o giubbotti in pelle, e sentiva prima di ogni velocissimo brano un one, two, three, four…

recensito da Camilla

 

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