Tabula Rasa Elettrificata – C.S.I.

In Tabula Rasa Elettrificata, terzo ed ultimo lavoro del Consorzio Suonatori Indipendenti (da qui in poi solo C.S.I.), convivono tutti gli elementi di un’amicizia (quella fra Zamboni e Ferretti) nata casualmente in una discoteca di Berlino nei primi anni ottanta e fratturata in un austero viaggio in Mongolia nell’estate del 1996.
Rispetto al punk irriverente in salsa emiliana dei CCCP Fedeli alla Linea, la musica dei C.S.I. oltre che essere maggiormente strutturata e riflessiva nelle tematiche (grazie al basso “Attilio” di Gianni Maroccolo, agli effetti di Giorgio Canali ed alla carica compositiva di Francesco Magnelli), porta in seno anche tutte le esperienze maturate negli anni ottanta, ed a una certa evoluzione nel pensiero di Ferretti e Zamboni.
Con il buon esordio con Ko de Mondo (1994) ed il successivo concept, legato alla vicina guerra jugoslava, Linea Gotica (1996), lo strappo con l’ortodossia rossa è chiaro ed incontrovertibile; eppure se in questi due lavori la carica evocativa portava l’ascoltatore ad un punto di osservazione più alto e sui generis, in Tabula Rasa Elettrificata qualcosa di radicale cambia nel pensiero di vita (non solo politico e sociale) di Ferretti e Zamboni. Il viaggio in Mongolia ha effetti contrastanti ed imprevedibili su i due autori; se Ferretti durante il viaggio in transiberiana scorge un lato imprevisto dell’ortodossia comunista, rimanendone addolorato e sconvolto, Zamboni coglie appieno il desiderio di lasciarsi alle spalle quello che è superfluo nella propria vita e di meditare su  “scelte di vivere per cui viviamo“.
Lo stesso Ferretti, in rientro dall’Italia dopo due mesi in terra mongola, scrive “faccio fatica a tenermi unito, a mettere insieme la mia identità. Sul fatto che Zamboni è lì, sempre più importante, sempre più fondamentale per me è indubbio. Però si è creato uno spostamento“. E questa inquietudine si coglie tra le righe di Tabula Rasa Elettrificata, manifestando anche una certa estraneità con gli altri membri dei C.S.I., che non avendo condiviso il viaggio spirituale, si affidano alle linee guida tracciate dai testi di Ferretti. Tutto sommato la spontaneità che aveva contraddistinto anche i precedenti lavori rimane intatta.

C.S.I - Tabula rasa elettrificataSe quindi il disco ha una gestazione sofferta nelle menti di Ferretti e Zamboni, nessuno poteva mai immaginare le conseguenze di un successo inaspettato, quanto beffardo, perché arrivato nel momento mentale peggiore per i due autori. Da un incontro casuale con Jovanotti negli studi della Polygram, nasce il supporto per sei date al tour del “rapper”, portando così i C.S.I. a confrontarsi con una fetta di pubblico molto più grossa. La diretta conseguenza è che, non solo la musica della band piace (Forma e sostanza è in alta rotazione sulle piattaforme televisive musicali), ma che alcune location per il tour programmato per l’estate del 1997 si dimostrano insufficienti per contenere una nuova massa di fans sognanti ed urlanti. Il resto dell’anno prevede comparsate televisive, eventi benefici e tutta una serie di circostanze che portano i C.S.I. ad avere una visibilità impressionante: la musica indipendente italiana ha avviato la sua rivoluzione verso il mainstream, nulla sarà mai più (bello!) come prima!

Da ascoltare come un concept, ma senza per forza spaccandosi la testa, Tabula Rasa Elettrificata nelle prime sei canzoni ha la velleità di ripercorrere pensieri, momenti e personalismi pronti per essere poi cancellati e riscritti nella seconda parte del disco. Così, l’intro etnico di Unità di Produzione non deve trarre in inganno, poiché dopo pochi secondi si allaccia il solito basso pernicioso di Maroccolo a cui seguono presto le chitarre ruggine di Zamboni e Canali, per un brano che è un’amara e definitiva critica all’amata ideologia sovietica, cantata con il solenne piglio ferrettiano:

«Sogno Tecnologico Bolscevico
Atea Mistica Meccanica
Macchina Automatica – no anima
Macchina Automatica – no anima
Ecco la Terra in Permanente Rivoluzione
Ridotta imbelle sterile igienica
Una Unità di Produzione»

In Brace invece è la sognante ed umile descrizione della terra d’Asia, preambolo del viaggio mongolo (e quindi indirettamente) incipit della trasformazione personale di Ferretti e Zamboni. Archi e percussioni intrattengono la melodia, spezzata solo dal chorus “elettrificato” nel quale il backing vocal di Ginevra Di Marco conferisce serenità al recitare mesto di Ferretti («Appare la bellezza mai assillante né oziosa / Languida quando è ora e forte e lieve e austera / L’aria serena e di sostanza sferzante»). La terza traccia è la principale colpevole del successo di questo disco, Forma e Sostanza (in bilico tra il muro sonoro dei My Bloody Valentine e gli slogan irati dei primi CCCP) prende spunto dalla festa mongola Naadam (ma anche dal concetto di liberarsi del superfluo, avere solo ciò che davvero spetta, nulla di più), ma trova in Occidente una lucida critica al consumismo ed al materialismo, travisata probabilmente da un eccesso di libero arbitrio: «Voglio ciò che mi spetta lo voglio perché mio m’aspetta».
Vicini rappresenta un’altra tappa poetica di avvicinamento alla Mongolia, rievocando la storia del mondo e la bellezza della vita tra rintocchi digitali ed un minimalismo armonico a tratti esasperato; mentre la solitudine di Ongii racconta la storia del monastero di Ongijn Hijd distrutto dalla follia comunista nel 1939; chiude il sestetto Gobi, definitiva catarsi metafisica che vive di soli sospiri e brevi mantra.

Il distacco melodico si fa evidente con Bolormaa, che s’ispira ad una giovane contorsionista mongola di cui Ferretti e Zamboni hanno assistito ad uno spettacolo di danza; l’aria austera e sommessa rintraccia invece una certa forma di riscoperta personale, attraverso il potere della mente. Il libero arbitrio ritorna prepotente (o meglio la versione emiliana «Ciò che deve accadere accade!») in Accade, anche in questo caso gli arrangiamenti sono tirati al midollo, rendendo la voce di Ferretti ancora più cavernosa ed intensa, mentre si fa (involontariamente) un resoconto spietato tra pensieri e nuove regole di vita, del viaggio in Mongolia.
Matrilineare è la parentesi etnica che nulla aggiunge al disco, mentre la fortunata e fuzzosa M’importa ‘na sega riassume il calore della terra («Calore che irradia in onde rotonde») e l’austerità del paesaggio mongolo («Gelo verticale cunei sparati giù a frantumare»), rimarcando l’importanza solo dei valori autentici e necessari, chiudendo con un finale strumentale tanto languido quanto sereno.

Con Tabula Rasa Elettrificata la crepa aperta tra Ferretti e Zamboni dopo l’esperienza in Mongolia diventa insanabile e definitiva dopo il flop dei concerti dell’estate 1998 nella città di Mostar (per idea folle e frettolosa di Ferretti), e ha il suo epilogo fiabesco nel quartiere Neuköln di Berlino, ragionevolmente da dove tutto era iniziato. Zamboni lascia in silenzio C.S.I., che si disintegreranno con molto clamore poco dopo, aprendo la parentesi poco fortunata dei Per Grazia Ricevuta e soprattutto un vuoto che la musica alternativa italiana non è mai riuscita a ricucire con convinzione. Chiudo con le parole profetiche di Maroccolo, che ammoniva sulle false promesse del successo mainstream di Tabula Rasa Elettrificata: «Spero che non si commetta l’errore di riversare sui C.S.I. aspettative troppo alte, al di là dell’umano. Non vogliamo diventare icone o bandiere. Intorno a noi c’è una cappa di misticismo che comincia ad essere claustrofobica».
Evidentemente ciò che deve accadere, accade …

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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