Superunknown – Soundgarden

Superunknown è stato capolavoro (anche commerciale) dei Soundgarden ed uscì l’8 marzo del 1994; poco prima che il castello di sabbia del grunge seppellisse i suoi maggiori interpreti (appena un mese dopo Kurt Cobain verrà trovato senza vita nella sua casa di Seattle). Eppure in profondità, questo quarto disco della banda di Chris Cornell, segna un deciso cambio di marcia rispetto alle precedenti produzioni dominate dal pasticcio heavy ‘n’ hard in camicia di flanella. Una deviazione pop forse, sicuramente meno marcata rispetto ad altre band che avevano la necessità di banchettare sul cadavere della musica indipendente, certamente molte contaminazioni inedite per i Soundgarden, che approcciarono in sala di registrazione in maniera decisamente diversa e più democratica. I baritoni della chitarra di Thaiyl vengono smussati a favore di arrangiamenti meno immediati e più “sofisticati”, ottenendo a tratti effetti psichedelici e variopinti che scalfiscono il classico muro sonoro della band.
Ispirati idealmente da Ringo Star (ma non so se crederci davvero), i Soundgarden portarono già in studio dei bozzetti di lavori individuali, registrando dapprima la sezione ritmica sul quale successivamente si sarebbero costruire le melodie di chitarra.

Superunknown - SoundgardenIl risultato più eclatante questo nuovo modus-operandi è la fortunata Black Hole Sun, nel quale le chitarre vengono quasi zittite in favore di un caleidoscopico leslie-speaker (molto beatlesiano!) che irradia il brano di una tensione deviata (rimarcata anche dal videoclip in heavy-rotation su Mtv), pronta a deflagrare solo nel finale, ove rinascono le distorsioni pesanti di Thaiyl. Ispirato dalla poetica sofferta di Sylvia Path (leggetevi The Bell Jar!), i testi di Cornell irradiano un vago pessimismo, che in realtà altro non è che il manifestarsi di tutte le contraddizioni della natura umana. Da l’edipica Let me DrownStretch the bones over my skin / Stretch the skin over my head») nel quale il rifiuto della vita sembra più che altro rivolto come rifiuto verso la società, a Spoonman, che a discapito delle apparenze non ha nulla a che fare con la droga, ma bensì prende ispirazione da un artista di strada californiano; tutto sembra essere fatto e scritto per confondere e provocare.
Eppure sembra essere la vita il vero baluardo su cui s’aggrappano i Soundgarden (ironia della sorte dopo l’aprile 1994), The day I tried to live, è più di un onesto atto di intenti, bensì rassomiglia quasi ad uno stremato sforzo di conformarsi alla massa («The day I tried to live / I wallowed in the blood and mud / With all the other pigs»); mentre Like Suicide inneggia ad una particolare forma di umanità (dopo un episodio in casa Cornell, quando un volatile distratto rimase gravemente ferito) ed alle mille sfaccettature della vita e della morte. Il lato oscuro del disco viene marcato dalle noir Limo WreckMailman, che tramite sonorità diverse addensano umori ed emozioni primitive. Da citare Fresh Tendrils (testo del batterista Matt Cameron), nel quale i Soundgarden trovano volumi e intensità perfette per un brano forse un po’ troppo sottovalutato, ma di grande enfasi nervosa.

Altra ironia della sorte, nonostante i Soundgarden fossero stati tra i primi a firmare con la Sub Pop (Screaming Life, 1987) e il primo gruppo grunge a firmare per una major nel 1988 (Louder Than Love), raggiunsero il successo commerciale solo nel 1994, con Superunknown; l’ultimo baluardo di quel movimento che tra il 1989 e il 1994, seppure in fasi molto alterne, parlò ai giovani annoiati d’America e non solo.

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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