Sub Pop Records: “conquisteremo il mondo”, e così fu …

Bruce Pavitt non era di Seattle, ma frequentando la Evergreen State College di Olympia (l’università che permetteva agli studenti di crearsi autonomamente il proprio piano di studi) venne a contatto con la radio del campus, la influentissima KAOS, ed è da lì che nacque prima la fanzine Subterranean Pop e successivamente, avendo accesso alle pubblicazioni indipendenti sparse per la radio, la label Sub Pop Records.
Pavitt voleva immortalare quella che secondo lui era la scena musicale locale, e conscio di quanto avvenne per le altre spesso “decadute” etichette indipendenti, imparò ben presto che il marketing e le strategie di vendita erano tutto. Per prima cosa, le pubblicazioni venivano su cassetta (espediente più economico che utilizzò anche la neonata K Records di Olympia) ed erano compilation che schieravano oscure band che venivano un po’ da tutti gli Stati Uniti: Sub Pop 100 raccoglieva dai Wipers ai Sonic Youth, e le 5.000 in edizione limitata furono vendute in pochissimo tempo. In secondo luogo essendo un fanatico collezionista, Pavitt promosse a dismisura il formato da 7″ e 12″, che le major avevano snobbato da anni, alimentando l’interesse degli amanti delle rarità su vinile.

Superfuzz Bigmuff - MudhoneyJonathan Poneman veniva dall’Ohio, ma rimase folgorato dalla scena dello stato di Washington e dalla musica dei Soundgarden, così tanto che finanziò con 20.000 dollari il primo ep della band su Sub Pop, Screaming Life del 1987. I due divennero successivamente soci, le idee di Pavitt ed i soldi e l’astuzia manageriale di Poneman costituirono quella che è stata la colonna portante della musica indipendente di Seattle per un biennio.
Il motto “se è su Sub Pop è ok“, divenne un mantra come a rimarcare quel senso di appartenenza label-band che aveva portato bene ai precursori della SST Records di Greg Ginn. Tutto il rumore che fuoriusciva da Seattle e dintorni era su Sub Pop, pubblicando dapprima il canto del cigno dei Green River (Dry as Bone e Rehab Doll) e poi gli esordi su 7″ dei Mudhoney (il monumentale Touch me I’m Sick, e l’ep Superfuzz Bigmuff) la band che Pavitt adorava più di tutte, stringendo un forte legame di amicizia.
Eppure la leggenda narra che fu Poneman a portare i Nirvana su Sub Pop (dapprima con il singolo Love Buzz, e poi ovviamente con Bleach) nonostante il parere contrario del suo socio, che preferiva concentrarsi unicamente sulle band di Seattle, mentre Cobain e Novoselic erano originari di Olympia.

Il creare una scena (il cosiddetto Sound of Seattle), l’espediente di pubblicare su vinile colorato ed in edizioni limitate (la compilation Sub Pop 200 uscì in triplo vinile e divenne un piccolo cimelio), le copertine con quelle tipiche scritte colorati e molto grandi, le foto in bianco e nero di Charles Peterson e le produzioni tiratissime di Jack Endino conferirono quel sound che tutti oggi assimilano alla scena: il marchio di fabbrica Sub Pop era presto riconoscibile.
La collaborazione con la tedesca Glitterhouse di Reinhardt Holstein permise di distribuire il dischi anche in Europa, puntando soprattutto al Regno Unito da sempre affascinato al working class di fondo che le band Sub Pop portavano in dote. Gli inglesi accolsero con entusiasmo il rumore grezzo e l’aspetto selvaggio dei Mudhoney o dei TAD (beh, white-trash come Tad Doyle non c’è ne erano molti!) e di riflesso attirarono anche l’attenzione dei critici americani che volsero lo sguardo sulla cartina in direzione della dimenticata Seattle.
Sub Pop RecordsIl rooster di band Sub Pop nel 1990 era di tutto rispetto (dagli Afghan Whigs con Congregation al 12″ Tristessa dei Smashing Pumpkins), e le attenzioni delle major per questa nuova generazione musicale divennero sempre più insistenti; così se perdere i Soundgarden (direzione SST e poi verso una major) fu sostanzialmente quasi indolore, non lo fu con i Nirvana. La Geffen Records pagò 75.000 dollari alla piccola label per liberare la band (che gli doveva ancora due album, uno di questi sarebbe stato Nevermind), più una percentuale sulle vendite che risollevò le sorti dell’etichetta che aveva perso il controllo finanziario tra eccessivo entusiasmo nel mettere sotto contratto le band, cause giudiziarie (la Pepsi ed una giovane coppia immortalata sulla copertina di 8-way Santa dei TAD) e le solite royalties non pagate; come ricorderà poco dopo Poneman: «Non avessimo firmato quell’accordo con la Geffen, io e Bruce probabilmente saremo in questo momento a lavare piatti».
Se tutti abbandonarono la famiglia Sub Pop per passare alla major, solo i Mudhoney resistettero fino al 1991 con Every Good Boy Deserve Fudge, prima di passare obbligatoriamente alla Reprise. Pavitt la prese malissimo: «Realizzai di essere in un business malato; almeno con le major sai dall’inizio che stai fottendo le persone. Costruire rapporti importanti tra le persone e poi rovinarli per questioni di affari era doloroso anche solo una volta…».
Come accaduto per l’hardcore, una seconda generazione crebbe presto ma senza gli ideali che avevano generato la scena, per giunta stavolta la voglia di salire sul carro dei vincitori e firmare quasi subito con una major era troppo forte ed altrettanto facile, così dopo il 1993 la scena di Seattle si dissolse e di conseguenza l’appeal della Sub Pop si estinse quasi del tutto. Nel 1996 Pavitt decise di lasciare per divergenze di vedute con Poneman rispetto alla direzione artistica della label, tuttavia la Sub Pop ha resistito fino ai giorni nostri, ed anzi dopo un primo momento di difficoltà post-grunge, ha saputo ritrovare quella vena indipendente scoprendo e pubblicando band fenomenali come Beach House (da Teen Dreams del 2010 in poi) e band tutte al femminile come le Dum Dum Girls.
Il motto della label “world domination” alla fine si rivelò premonitore, e nonostante tutto la Sub Pop è resistita al movimento ed alla scena che aveva aiutato ad esportare in tutta America e nel mondo … eh no, questo alla SST non è mica riuscito!!!

 Sub Pop Records sito ufficiale

La Firma: Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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