L’emblema londinese del post-punk: Rough Trade Records

Se il punk londinese è stato prerogativa delle major (Virgin e Columbia se pensiamo a Sex Pistols e Clash), il post-punk della prima ora girava attorno ad una serie di minuscole etichette indipendenti, tra cui la Rough Trade di Geoff Travis.
Tappa fondamentale per chi soggiorna a Londra la prima volta, la Rough Trade nasce come negozio di dischi in Kensington Park Road, nel febbraio del 1976, con l’intento, secondo Geoff Travis, di trasformarla in punto di aggregazione alternativo (garage e reggae): «Aprire un negozio in cui potevi ascoltare dischi tutto il giorno senza che nessuno ti infastidisse troppo». Inizialmente la Rough Trade entrò immediatamente in contatto con la nascente scena punk inglese, tanto da avere Steve Jones dei Pistols come assiduo frequentatore («veniva a vendere i dischi che aveva sgraffignato!» ricorda Travis), inoltre era uno dei primi negozi che aveva contatti anche con la scena punk newyorkese, dove si potevano trovare dischi d’importazione e copie della fanzine Punk di Legs McNeil. Quando tuttavia il punk divenne il cibo quotidiniano per le major, le attenzioni della Rough Trade si spostarono progressivamente sulle piccole scene emergenti che proliferavano a Londra ed in tutto il Regno Unito. Come per altre microscopiche etichette (la Cherry Red o la scozzese Fast Product), le produzioni casalinghe ed lo-fi divennero una costante, ispirate soprattutto dal clamore che l’ep Spiral Scratch dei Buzzcocks infuse a tutto l’ambiente indipendente: si trattava infatti di uno dei primi dischi do-it-yourself.

Rough TradeTale euforia smosse anche la Rough Trade a buttarsi nella mischia della produzione e distribuzione, anche perché alle spalle possedeva già un’organizzazione ed un etica al suo interno ispirata alla controcultura hippy: riunioni ed assemblee continue, cementarono una diffusione di idee che ben presto sfociò in un’attività parallela alla vendita di dischi. Grazie ai ricavi del negozio, la Rough Trade non solo anticipava alle band il denaro necessario per registrare un disco, ma a volte si associava a quelle sparute etichette monogruppo, pagandone le spese di stampa ed al contempo assicurandosi l’esclusiva sulla distribuzione. Questa mutua collaborazione (vagamente manageriale) consentiva alle band registrare il proprio materiale e mantenere integra la loro libertà artistica, mentre all’etichetta permetteva agevolmente di rientrare delle spese sostenute attraverso la vendita dei dischi: il tutto mosso da una forte ideologia paritaria, come l’equa distribuzione dei proventi tra label ed artisti (pratica poi diffusasi in tutto l’ambiente independent) una volta appianate le spese iniziali di registrazione.

La prima uscita ufficiale targata Rough Trade fu per gli “eredi” francesi dei Sex Pistols, i Metal Urban con Paris Marquis nel febbraio 1978, ; ma fu solo con l’esordio dei Cabaret Voltaire (enigmatico Extended Play, 1978) che l’etichetta iniziò ad incarnare lo spirito post-punk dell’epoca, toccando l’apice l’anno successivo con l’imprescindibile Inflammable Material dei nordirlandesi Stiff Little Fingers. Come dimostrato per altre vicende riguardanti label indipendenti, il nodo della distribuzione fu sempre quello più difficile e controverso; la Rough Trade lo risolse con la creazione della Cartel, ossia una fitta rete di distribuzione che coinvolgeva la Small Wonder di East London (quella di Killing an Arab dei Cure) ed altre etichette sparse tra Edimburgo, Bristol e Liverpool. Comprendo così una regione talmente ampia da diffondere la musica anche oltre i confini naturali delle band che venivano promosse, recuperando costi e senza sprecare risorse in spese inutili.

Negli anni ottanta, la scoperta degli Smiths di Morrissey e Johnny Marr proiettò la Rough Trade a diventare l’etichetta indie per antonomasia, anche perché il riflusso post-punk aveva preso le direzioni più disparate. L’intera vita discografica degli Smith (dall’omonimo del 1984 all’epilogo di Strangeways del 1987) fu a carico della Rough Trade, soprattutto per l’etica che la label aveva sempre dimostrato; come ricorda Morrissey riguardo al primo contatto con la label: «Questo è ciò che possiamo fare per voi e questo è quello che non possiamo fare per voi, ma alla fine faremo del nostro meglio. Con le major in realtà non era così!». L’epopea con gli Smith portò la Rough Trade a duellare con le major sia sul piano delle vendite e del prestigio, ma anche su quello dei costi, trascinandosi agli albori degli anni novanta con una mole di debiti da essere costretti a dichiarare bancarotta nel 1991, quando dall’altra parte dell’oceano detonava la rivoluzione grunge.
Nel 2000 grazie anche a Jeannette Lee (ex PiL) che entrò come socia, Geoff Travis riaprì i battenti della Rough Trade, trovando nel revival indie britannico (la fugace discografia de The Libertines su tutti) qualche buona soddisfazione di vendite; senza tuttavia evitare di entrare nel grande calderone della Beggars Banquet Records (la mezza-major delle etichette indipendenti!), mantenendo una discreta indipendenza e continuando a promuovere buona musica d’ispirazione independent. 

Rough Trade sito ufficiale

La Firma: Poisonheart

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Una risposta a “L’emblema londinese del post-punk: Rough Trade Records”

  1. Salve, siamo una band di ragusa, ci chiamiamo partinico rose e facciamo indie post punk. Abbiamo appena realizzato il nostro primo cd autorprodotto e anche un video clip. Vorremmo porre alla vostra cortese attenzione il nostro materiale audio per una recensione. E’ possibile avere un indirizzo mail cui inviare i files in mp3 piu altro materiale riguardante la band?
    grazie
    Massimo
    Qui potete ascoltare l’album gratuitamente da spotify
    https://open.spotify.com/album/4ln9wqp7xYDHcDsuGdwfPN

    questo è il vudeo del singolo da youtube
    https://www.youtube.com/watch?v=HUo6ZReL8JY

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