Siberia – Diaframma

Nei primissimi anni ’80 la migliore musica alternativa italiana (e di matrice post-punk) viene da Firenze, divisa tra gli oscuri Diaframma, i più esotici Litfiba, e gli elettronici Neon. Frugati da entrambi i lati qualsiasi disco dei Joy Division, la wave italiana muove i primi passi dapprima emulando i propri beniamini, e poi successivamente elaborando un proprio movimento che manteneva una certa tensione emotiva ed languida, ma che non disdegnava qualche volo poetico o sociale. Se i Litfiba nel medio-breve termine scelsero l’antimilitarismo e la critica al potere, i Diaframma rimasero molto più intimi ed ermetici, grazie alle liriche acide e sofferte di Federico Fiumani, coadiuvato dalla sezione ritmica ossessiva dei fratelli Cicchi.
Siberia - DiaframmaDopo buoni singoli promettenti, verso la fine del 1984 esce per la super-indipendente IRA, l’esordio in long-playing Siberia, con Miro Sassolini alla voce, trovando nella sua tonalità bassa e tenebrosa il perfetto contraltare emotivo per interpretare la sofferta la poetica di Fiumani. Il disco risente, senza nessun pudore, delle atmosfere cupe ed gutturali dei Joy Division: trame di basso in primo piano ed allucinate rime di chitarra colorano di denso, un acquerello musicale sostanzialmente minimale ed ermetico. I Diaframma fotografano bene l’irrequietezza di quel presente, fatto di immagini rarefatte, di sentimenti spulciati e mai consumati, di parole non dette e sospiri trattenuti in gola: eppure, Siberia è un album da eremiti, da solitari, poiché non cerca nessun contatto verso l’esterno, rifugiandosi piuttosto in una landa deserta ed immacolata. L’interiorità assume così una dimensione ancora più personale, ma non per questo puerile o banale; nelle parole dei Diaframma c’è vita e c’è morte, c’è passione e tedio, c’è quell’immediatezza di consumare un sentimento che forse non verrà mai.

«Aspetterò questa notte pensandoti
Nascondendo nella neve il respiro
Poi in un momento diverso dagli altri
Io coprirò il peso di queste distanze…»

In Siberia l’enfasi che Sassolini immette nel brano è direttamente proporzionale alla tensione con cui aprono il basso e la chitarra di Fiumani, il tutto poi scivola via intenso ed armonico, nonostante il ritmo ripetitivo e la cupola tenace sopra le nostre teste. Le distanze dell’amore, o piuttosto la difficoltà d’approcciarsi con gli altri, assumono un carattere quasi nevrotico, mascherato dalla continua ricerca di immagini naturali, dal ghiaccio, alla neve, al gelo, enfatizzando così la violenza del distacco ed la freddezza umana. Le cromie proseguono con Neogrigio e «una morte breve nelle stanze d’albergo», che grazie ad una melodia narcolettica in bilico tra le corde di Robert Smith e Bernard Sumner, sottolinea i contrasti tra la luce e l’oscurità, come metafora che punta all’assoluto, ma che sottopelle permette le più diverse interpretazioni. Impronte ne segue passo passo l’andatura , tra percussioni penetranti e le atmosfere liquide e modulate della chitarra di Fiumani, mentre il racconto di Sassolini diventa evocativo ma spoglio di emozione.
Amsterdam ed il suo intro lungo e rarefatto, liberano una fredda energia solitaria ed immobile, che esplode appena nel duetto finale Fiumani-Sassolini «Dove il giorno ferito impazziva di luce»; replicato con grande pathos in una dinamica più rock nell’omonimo ep del 1985 con Piero Pelù ed il resto dei Litfiba.
L’introspezione prosegue la sua nenia anche in Delorenzo, nonostante l’apertura funk di un bel basso petulante, nel quale vengono rimarcate solo le inquietudini personali, senza ricercare facili consensi generazionali, trovando nell’isolamento e nella noia l’alleanza e la protezione desiderata. Memoria conferma lo schema di versi ermetici ripetuti e di grande presa emotiva («Vivendo per qualcuno / Io morirò per me stesso»), cercando in questo preciso caso di decifrare l’amore e le sue dinamiche distorte. E mentre tutt’intorno il fermento politico diviene un’esigenza per una ristretta élite (Pier Vittorio Tondelli svela la generazione di Altri Libertini massacrati dalla propria noia, mentre a breve Litfiba e CCCP inondano la propria musica di simbologie che aborrano il potere consumistico); i Diaframma cercano un esilio spirituale, ed in Specchi d’Acqua si estraniano da qualsiasi lotta con il passato, preferendo la riflessione nella speranza (coscientemente vana) di ricreare qualcosa di nuovo e più duraturo:

«Forse non sento le voci
Che mi allontanano
Sempre più in fretta
Dal ricordo latente
Di quei giorni sofferti
Fatti di sangue e di vento»

Nella finale Desiderio del Nulla, l’oblio ed una rabbia silente si rendono protagoniste di un ragionamento d’amore e di evanescenti istanze, che portano inesorabilmente ad un nichilismo sia lirico che musicale.
Il successivo 3 volte lacrime (1986) perde decisamente la tensione oscura degli esordi, a favore di un pop più maturo negli arrangiamenti ed in alcune soluzioni stilistiche, tuttavia la fiammella pare sopirsi in maniera indelebile.
Nelle numerose riedizioni degli anni novanta di Siberia, ricordo quella del 1992 nella quale viene incollato nel finale l’ep Amsterdam (con la fredda Elena e la tenebrosa Ultimo Boulevard), suggellando così la meravigliosa stagione ’85 della musica alternativa fiorentina, che vede in Siberia ed in Desaparecido le sue massime espressioni, prima che il punk in salsa emiliana vomitasse i propri slogan e le proprie ortodossie.

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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