Ru Fus – Ru Fus

Emiliano Valente (alias Ru Fus) di professione bassista conosce come pochi la scena punk-underground di Pisa e dintorni; una scena a cui è sempre stato legato e questo in qualche modo traspare nella sua musica. Dopo le esperienze di tutto rispetto maturare con band di diverse estrazioni musicali, citiamo ad esempio gli Zen Circus (o meglio di Zen prima della svolta), Ru Fus con i calli alle dita e l’orecchio buono può permettersi un esordio solista in long-playing. L’omonimo debutto è un condensato di stoner e grunge alla vecchia maniera, nel quale le distorsioni (sia di basso, che di chitarra) sono dense, grumose, cavernose nella tensione che generano all’ascolto di queste 11 tracce.
Le passioni per Soundgarden, Melvins (e personalmente sento anche qualcosa degli Alice in Chains, non tanto nel pattern chitarristico, quanto nel cantato impastato) sono eloquenti, e sulle quali viene costruito il sound di Ru Fus, che taglia il cordone ombelicale dalla scena italiana per approdare ad un risultato più internazionale e più completo.

Ru Fus - Ru Fus GhostrecordRu Fus quindi non è un disco improvvisato, con qualche idea buttata là e tanta buona volontà. A volte non basta ed il bassista lo sa bene, per questo confeziona anche con l’aiuto di amici musicisti un esordio oculato, preciso nella proposta musicale, senza troppe influenze distanti l’una dall’altra (e avrebbe anche potuto farlo, in quanto il bagaglio musicale non gli manca). Gli amanti del genere fangoso del Nordamerica dei primi anni ’90 certamente apprezzeranno, tuttavia ascoltando a più riprese le tracce, anche i meno esperti potranno riconoscere la buona produzione e l’equilibrio delle varie componenti, addirittura una certa emozionalità in taluni passaggi. Like coldest winter ad esempio è uno dei brani più coinvolgenti, nel quale un riff portante di chitarra arrichisce di sonorità meno aggressive un brano che sembra estratto da un’altra epoca.
Eppure l’apertura suggeriva energia, una rabbia isterica e tanto tanto headbanging: Fader up & down è un brano ricco di un groove sporco, veloce e certamente coinvolgente. Little Clown con le sue sonorità basse richiama il grunge della prima ora, mentre decisamente più avvolgente nel beat della batteria è Joker, più cromaticamente affine allo stoner conosciuto ai più.
Capitolo più leggero è People as People, che funge da ballata geniale di metà disco e che spezza la tensione generata dalla prime tracce (con un evidente richiamo nel testo alla visione orwelliana del mondo, 1984 docet!), è un bell’ascoltare che tuttavia non snatura l’attitudine underground di Ru Fus.
Dead set torna ad immegersi nelle nebbie novembrine dello stato di Washington (il timbro alla Layne Staley è talvolta evocativo); mentre la finale Season ha la capacità di condensare l’ultima tensione rimasta da un disco tiratissimo, e successivamente rilasciarla sottoforma di lenta preghiera per anime dannate e perse.
In generale sorprende la maturità di arrangiamento ed una produzione pulita (Ghostrecord c’ha visto giusto!) nonostante tutte le distorsioni e tonalità basse disseminate nel disco: una dote ed una capacità che agli ascoltatori più esigenti non potrà che far piacere in quanto è caratteristica molto difficile da ritrovare in questo genere specifico.

Ru Fus con il suo esordio solista soddisfa la capacità di comunicare sia passione che energia, la stessa che i gruppi americani dei primi anni ’90 tentavano di fare nonostante la seduzione delle grandi major; qui Ru Fus libero da vincoli riesce a confezionare un disco maturo, che sorprende man mano che ci si addentra nel suo nucleo più crudo ed inteso. E forse anche meglio di tante e più acclamate ultime uscite politicizzate degli Zen Circus.
Genuino!

Ru Fus facebook
Ghostrecord sito ufficiale

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

 

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