Quel diario parigino e libertino di Henry Miller

«Io sono un uomo che vorrebbe vivere una vita eroica e render più sopportabile il mondo ai suoi occhi. Se in qualche momento di debolezza, di abbandono o di bisogno, scaglio nel mondo qualche sdegno raffreddato in parole, qualche sogno infagottato in immagini, pigliatelo e buttatelo via, ma non mi seccate. Sono un uomo libero; ho bisogno di libertà, ho bisogno di star solo, ho bisogno di rimuginare fra me e me le mie vergogne e le mie tristezze, di godermi il sole e i sassi della strada senza compagnia e senza discorsi, colla sola musica del mio cuore. Cosa volete da me? Quel ch’io voglio dire lo stampo; quel che voglio dare lo do. La vostra curiosità mi fa stomaco; i vostri complimenti mi umiliano; il vostro té mi avvelena. Non debbo nulla a nessuno e ho da fare i miei conti soltanto con Dio; se esiste»

Tropico del Cancro – Henry Miller (1934)

henry millerIl personaggio: Nativo di Manhattan, Henry Miller sin dalla giovane età è stato un girovago; dapprima vagabondando per gli Stati Uniti, poi soggiornando a Parigi ove scrisse il suo capolavoro Tropico del Cancro, condannato per oscenità e non pubblicato negli States fino agli anni ’60. L’aura di provocatore ed il processo per oscenità pornografiche, oltre ad una vita dissoluta tra costellata di brevi matrimoni e fugaci relazioni, è il riflesso della sua scrittura libera ed in prima persona, ove è abile ad alternare prose intense e di vita vissuta a flussi di autocoscienza profondi ed affilati. Tornato in California dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Henry Miller collabora con diverse riviste e continua a scrivere in maniera provocatoria e controcorrente, tanto da essere fonte d’ispirazione per la nascente beat-generation. Da sempre piuttosto critico verso i valori ed il conservatorismo americano, Henry Miller non manca l’occasione anche nei romanzi successivi per scagliarsi in maniera irriverente contro la madrepatria, anche se in maniera meno originale rispetto a quanto messo su carta nel Tropico del Cancro. Discreto pittore di acquerelli (di cui scrisse qualcosa a riguardo) e molto attivo nella scena artistica americana, muore nel 1980. 

Il lascito letterario: Tropico del Cancro è forse la migliore testimonianza di quella Parigi pre-bellica così brulicante di arte, idee e vita di strada. Colonia di mezzi artisti e morti di fame, la capitale francese viene ritratta in tutta la sua straniante bellezza, alimentata da piccoli e miseri personaggi talmente disillusi da cullarsi in uno stile di vita degradato, ove il cibo ed il sesso diventano gli unici bisogni primari. Una stasi elitaria che racconta estratti di vita spesso insignificanti, ma che ha la forza di evocare la miseria e la strada come pochi altri romanzi contemporanei. Il diario di Henry Miller è una fucina di linguaggio esplicito e di episodi quotidiani di sopravvivenza, tra compagni di viaggio che mutano rapidamente, che appaiono per poche pagine e poi scompaiono per sempre; un esercito di miserabili figli di un capitalismo ridimensionato dopo l’esplosione socialista. Il libertinismo esasperato, una solidarietà sottile e sciacalla, fanno da sfondo ad periodo storicamente denso di tensione, ma che tra le pagine di Tropico del Cancro non se ne avverte il magnetismo; il microcosmo della povertà e della strada, il disinteresse ed il rifiuto dei valori della società post-Versailles sono il rigurgito che cancella qualsiasi contatto con la realtà. Lungo il romanzo sono anche disseminate critiche aperte e sfoghi rabbiosi verso la natia America, avvolta nella bandiera e nei suoi valori, che tra le pagine di questo diario vengono ridicolizzati e ridimensionato sotto un punto di vista antagonista ed estremamente di parte.

«L’America è meglio tenerla così, sempre sullo sfondo, una specie di cartolina postale a cui guardare nei momenti di debolezza. Così, tu t’immagini che sia sempre là ad attenderti, immutata, intatta, un grande spazio aperto patriottico con vacche, pecore e uomini dal cuore buono, pronti a fottersi tutto quello che vedono, uomo donna o bestia. Non esiste l’America. E’ un nome che si dà a un’idea astratta»

a cura de Il Gemello Cattivo
Il Gemello Cattivo heartofglass

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