Plastic Letters – Blondie

Le solite leggende metropolitano-musicali: i Blondie non sanno suonare; Blondie è il nome della cantante biondina. Miti da sfatare.
Fondati dal chitarrista Chris Stein e da Debbie Harry, i Blondie vantano una discreta gavetta nei principali locali di NY, che nel 1977 non potevano che essere il C.B.G.B’s e il Max’s Kansan City, dividendo il palco con Ramones e Television. Riguardo l’origine del nome Blondie nasce dall’appellativo, neanche troppo carino, che i camionisti  affibbiarono a Debbie Harry nel periodo in cui lavorava come cameriera. Musicalmente apprezzati dal pubblico per il perfetto mix tra pop e trasgressione, i Blondie è innegabile che debbano un pizzico del loro successo anche alle minigonne da vertigine della Harry. Certo, annoverarli nel panorama punk può apparire forse azzardato, non sono degli sperimentatori dadaisti come i Talking Heads, e nemmeno delle belve da palco come i fratelli Ramones; eppure il loro posticino nella storia del punk newyorkese è imprescindibile per varietà e fantasia. Dopo l’omonimo esordio con un punk-pop leggero e frizzante, nel 1977 virano su un sound molto sintetico, mettendo in primo piano le tastiere di Jimmy Destri.

Plastic Letters - BlondieTuttavia parlare di pionieri della new-wave è un grossissimo abbaglio, perché Plastic Letters nasce come album rock-pop leggero (+ pop e – rock); tuttavia sono il primo gruppo frequentante il C.B.G.B’s ad avere un discreto successo commerciale, condito da un tour in UK nel 1978. Fan Mail scialacqua le chitarre e si concede a sporadiche escursioni nell’elettronica synth più elementare ed accessibile. Debbie Harry incanta con la sua voce, modulandola in maniera melodica prima e in maniera più aggressiva poi. All’ascolto è sicuramente un bel incominciare.
Denis è il biglietto per l’Inghilterra e per le charts del vecchio continente; cover della band anni ’60 Randy e the Rainbows, è una spensierata ballata pop, con quell’inconfondibile chorus bubblegum: « Oh Denis doo-be-do, I’m in love with you, Denis doo-be-do».
Secondo singolo estratto è (I’m Always Touched by Your) Presence, Dear, un pop veloce e contaminato da un riff di chitarra convincente, ovviamente immancabili le virgole e gli sprazzi elettronici, che cadono proprio ove uno se li aspetta. Ascoltando il resto del disco, convincono I’m on E, con una frizzante Harry e qualche pennata di chitarra bubblegum di Stein, confermando il carattere leggero ed easy del disco. I Didn’t Have the Nerve to Say No è altrettanto fresca e orecchiabile, con particolare attenzione alla fase di arrangiamento, a tratti fin troppo leziosa.
Detroit 442 è un brano che poteva cantare benissimo Joey Ramone, senza sputtanarsi; energico e delirante, mostra il lato più bello dei Blondie, una polivalenza (seppur a livelli non fantasmagorici) apprezzabile e confermata anche in Kidnapper, un blues femminile con tanto di armonica a sostegno.

Con Plastic Letters, l’errore è di pretendere un punk scanzonato dai Blondie; bisogna lavarsi via tutte queste influenze prima di mettersi all’ascolto. Nel 1977 c’è chi metteva a ferro e fuoco Londra, chi infiammava New York, e chi, come i Blondie, semplicemente non prendeva troppo sul serio tutto questo rigurgito anarchico e distruttivo esportato da McLaren e Co., suonando della buona musica e divertendosi un mondo!

 recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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