Parco Gonzo (ep) – I Casini di Shea

In un periodo storico musicale ove “rock” e “punk” non inquadrano più una generazione, bensì alimentano la nostalgia di quelle precedenti, è comunque rassicurante per chi – come il sottoscritto ed i suoi vispi primi capelli grigi- vive delle mirabolanti stagioni del passato, che ci siano ancora band e progetti musicali dediti tanto a concetti -oggi deformati dal loro significato primigenio- come lo-fi e musica indipendente. I Casini di Shea sono un terzetto da Senigallia che ripropone la formula cara a chi almeno un pezzetto di Nineties se lo è goduto: caos + volume= adrenalina. Ma non è tutto …

Infatti, dinanzi a noi non abbiamo dei giovani ed acerbi paladini del punk-rock heavy-rotation su Mtv (eh, a proposito di nostalgia…), bensì un tridente di musicisti esperti, con i calli sulle dita, che fiutano il sudore da palco, i crampi per la fame di musica, nomi che la scena marchigiana conosce bene e che ha aiutato a crescere e consolidare.
L’iperattivo Mauro Mariotti si è diviso nei 2.0 tra una rock band d’impatto come Gli Acidi ed un progettino a due dalle velature sperimentale come i Nauharamur, non disdegnando vagiti stoner (nei Maison Dieu) e ben due prove soliste (Albume nel 2014, bissato due anni dopo da Ortale n°7). Andrea Marcellini su queste pagine lo abbiamo ospitato sia in veste di bassista nei My Cruel Goro (nell’omonimo ep), sia come solista sotto lo pseudonimo di Andy K Leland con il mini Happy Daze. Simone Buoncompagni, è il collante necessario per far coesistere sussulti rockeggianti ed ammiccamenti sperimentali, attraverso uno scafato mastice blues  che s’irradia nelle ritmiche possenti della sua batteria.
Quindi, in questa sorta di super-gruppo marchigiano, l’energia e l’immediatezza sono sia la molla che il bersaglio de I Casini di Shea, che nel settembre 2020 se ne escono con Parco Gonzo, un ep (con tanto di generosa “bonus track” che ha le sue belle ragioni di esistere), registrato praticamente in presa diretta dallo stesso Mariotti al Sound Park di Marina di Montemarciano. Un flusso di quattro brani tra feedback, bassa fedeltà, chitarre fuzzose, in un garage rock costipato, sinuoso nelle liriche, digrignante nel cantato. Un po’ come racchiudere la potenza dei Nineties, avendo ben imparato la lezione dell’indipendent e dell’HC del decennio precedente, il tutto suonato come una furia, come se gli strumenti e lo studio di registrazione fossero in procinto di essere fagocitati dalle fiamme dell’inferno. Cacofonico e virulento, il sound de I Casini di Shea è tutta sostanza, non ci va leggero, non bada all’estetica, che comunque viene ridisegnata sotto forma di una comunione d’intenti che trova -paradossalmente- nell’ultimo brano Carlitos, il proprio manifesto programmatico. E’ da qui che voglio partire, da un punk stonato, che si presenta senza troppi calcoli, ma che parla schietto, lo fa di pancia, tra rigurgiti di rabbia e barricate di reticenza, contro un conformismo che diventa asfissiante, stalkerizzando la libertà d’essere e di vivere fuori dagli schemi. Carlitos non è solo una grandinata di distorsioni contro regole, pose e posizioni, è la rivendicazione di un’etica -anche musicale- che mette al primo posto il proprio spirito libertario, il proprio equilibrio (ma sì, talvolta pure precario) dinanzi al Leviatano del “Mondo Nuovo” che stiamo tutti -ahinoi- vivendo.   
Due parole anche sul resto dell’ep: La tua Verità è fulgida, rapida, intelligente nelle dinamiche, con quel no-sense che la rende sagace tra le righe, ma allo stesso tempo incline al “canticchiamento”; Sostanze (primo singolo estratto dall’ep) si abbevera alla fonte dell’alternative sporco e scorretto, trainato da una ritmica martellante e da un muro “sonico” istintivo ed impenetrabile. In La Primavera ce l’hanno imposto, il minutaggio suggerisce come una quotidiana e normalissima jam-session sia scappata di mano e diventando un lungo e libero flusso di coscienza, facendo intravedere quell’anima psych che è nelle corde de I Casini di Shea.

Da sempre sensibile all’etica punk come risposta alle storture dei massimi sistemi, non posso rimanere indifferente a Parco Gonzo (e visto che il chiacchiericcio social su questo disco, direi but I’m not the only one), dalla sua natura disillusa, accigliata, sempre pronta a smarcarsi da etichette di genere. Se l’antipasto è stato apprezzato, allora perché non pretendere una portata più abbondante (che so, un disco intero per il futuro?): farebbe felici gli ascoltatori e pure quelli della Cabezon Records. Ma in questo caso voglio andare controcorrente ed affermare che forse va bene così, che Parco Gonzo è un formato bellissimo per I Casini di Shea, che l’immediatezza e la pronuncia di questi quattro proiettili è perfetta così come viene, senza aspettative, senza pretese, come un grosso e grasso Superfuzz Bigmuff che ruggiva di energia umorale, un’alchimia che vomita il suo contorto amplesso una volta nella vita. Beh, I Casini di Shea ce l’hanno fatta, hanno suonato e registrato un piccolo cimelio di teenage angst senza controindicazione alcuna, spontaneo, vero.
No, non tutti possono dire di esserci riusciti.  

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I Casini di Shea Bandcamp
Cabezon Records bandcamp

 

recensito da Poisonheart

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