La profanazione del cadavere rock: No-Wave newyorkese

Il 1977 aveva sì portato l’esplosione e la consacrazione del punk newyorkese, ma allo stesso tempo ne aveva svuotato l’essenza; in giro per gli Stati Uniti o l’Europa, i maggiori protagonisti messi sotto contratto dalle major, non si vedevano più per la Grande Mela. Una nuova generazione scalpitava, ma non era una generazione punk: anzi il punk era detestato, poiché ritenuto nello stile e nella ritmica della musica, un refuso degli anni ’50.
Questa nuova e pazza generazione adorava le sperimentazioni dei Velvet Underground, idolatrava le meccaniche convesse di Trout Mask Replica di Captain Beefheart; ma allo stesso tempo aspirava a creare qualcosa che si allontanasse dai loro idoli: «i gruppi no-wave si comportavano come se non avessero predecessori» ricorda Simon Reynolds. Così la dedizione al rumore ed alle dissonanze divenne il bagaglio culturale massimo per gli sparuti esponenti della No-Wave newyorkese: uno smembramento cacofonico che via via si allontanava dal semplice far musica, per abbracciare forme d’arte performativa e concettuale. 
Per Lydia Lunch, nebuloso spirito libero della No-Wave: «La musica era solo uno strumento particolare per esprimere l’impatto emotivo», condensando così un dualismo tra arte e musica, che geograficamente coinvolse il Lower East Side (ove si trovavano il C.B.G.B.’s ed il Max’s locali culmine della vecchia scena punk) e SoHo, rifugio per gli squattrinati artisti underground. Nel maggio 1978 presso l’Artists Space a Tribeca (vicino SoHo) si tenne un festival artistico-musicale che fuse i due mondi: esibizioni animalesche che videro protagonisti i DNA, i Contortions, i Mars ed i Teenage Jesus di Lydia Lunch. Ad assistere a questo caos di risse, deprecazioni musicali ed esibizioni grottesche, un interessato Brian Eno (all’apice di creatività dopo aver lavorato con Bowie a Berlino), decise di approfondire la conoscenza di questo nuovo movimento no-musicale. In un intervista ricordava come «La città fosse colma di “band di ricerca”, che assumevano posizioni deliberatamente estreme, definendo così i confini di una parte di territorio»; così qualche mese più tardi, eccolo nei primi mesi del 1978, sedersi in studio e registrare un documento unico ed irripetibile verso quella neonata scena: la compilation No New York.

La scelta ricadde su quattro gruppi visti in quel weekend all’Artists Space: i Contortions del funambolico James Chance, i funkeggianti DNA, i perversamente sagaci Teenage Jesus and The Jerks, ed i frammentari Mars, ciascuno con 4 brani. Furono escluse dalla raccolta -non senza qualche disappunto- altre band interessanti, come i Theoretical Girls in cui collaborò anche un entusiasta Glenn Branca, guru assieme a Philip Glass, delle avanguardie jazz. Un disco graffiante, ricolmo di rumori, vibrazioni sincopate, abolendo qualsiasi straccio di melodia o di armonia: un’anti-musica spesso fine a se stessa, ma dal grande impatto scenico e di volumi. Se una band abrasiva e dinamica come i Contortions, registrarono tutto in presa diretta senza “sfruttare” le magie in studio di Brian Eno, i Mars giocarono con l’effettistica di studio, ottenendo sonorità ancora più ovattate e terrificanti, ma senza offenderne l’essenza depravata. Un documento fedele di una scena che non voleva avere radici né influenze pregresse, quindi scordatevi le armonie rotonde di Eno in Low (1977), o cambi improvvisi da strategie oblique; il disco è una rappresentazione raccapricciante di furore ed alienazione.
No New York No-WaveJames Chance ed il suo sax (autore di una discreta carriera solista) infondono allegorie sinistre alle movenze dei Contortions, basti ascoltare l’epilettica Dish It Out (che se fatta suonare al contrario, beh non sembra proprio molto diversa dall’originale!!), o la viscida I Can’t Stand Myself, anticamera di un velocissimo funky dal passo felino. Se il sax di Chance venne definito da Glen Branca «come un incantatore di serpenti che commette un disastroso errore»; la follia isterica di Lydia Lunch (di gran lunga la più talentuosa di questa compilation) si rispecchia in una musica volgare, sporca ed insensibile, ove ritmiche intrise di cupidigia fanno da sfondo al decantare scellerato della corvina imperatrice della No-Wave. Brani fragorosi come Red Alert o approssimativi come Closet, meritano un ascolto attento, specie per la casualità istintiva dei rumori: un orgasmo cacofonico e minimalista, che rifiuta qualsiasi regola di base. Nei Mars, primo gruppo deliberatamente No-Wave, balza all’orecchio la completa assenza di tempo e tonalità, annichilendo subito ogni velleità rock; la band di Mark Cunningham esprimeva la tribalità della musica, cercando di ottenere dai propri strumenti suoni che fossero il più selvaggi e percussivi possibile. Hairwaves è un turbinio di battiti e fraseggi caotici che latitano in un deserto melodico dissonante e stonato. A concludere la compilation i fantasmagorici ed improbabili DNA, composti dall’esotico divenire chitarristico di Arto Lindsay, dalle tastiere rugginose di Robin Crutchfield e dalla percussioni di Ikue Mori, con cui comunicavano a gesti poiché non conosceva una parole di inglese. La prima impressione è di un’accozzaglia di suoni slegati tra loro, la cui ritmica duella con il vuoto, e le cui canzoni sembravano -come osserva Simon Reynolds- «disfarsi difronte alle orecchie dell’ascoltatore»; Not Moving o l’apprezzabile finale Size sono barlumi funk fangosi e “sonicamente” fastidiosi.

L’esperienza No-Wave si esaurì ben presto dopo l’uscita di No New York, anche a causa della chiusura del Max’s e dal cambio di orientamento del C.B.G.B.’s, ma soprattutto per la difficoltà di arrivare ad un pubblico più ampio e meno estremizzato. Ad ogni modo, la No-Wave insegnò a molte band successive (su tutti i Sonic Youth) ad espandere i confini musicali, nella ricerca di quella vibrante assonanza che se maneggiata con intelligenza poteva diventare sostanza adrenalinica. Sempre ai confini tra arte e musica, la No-Wave non ha mai avuto riscontri di vendite o di interesse discografico, ha segnato una piccola fetta di New York, ma la sua natura approssimativa, estrema e ribelle alle regole ne ha stroncato troppo presto l’evoluzione. Probabilmente può essere semplicemente riassunta con l’animo acrilico della propria principessa Lydia Lunch: «risoluta e schizofrenica, contraddittoria, anticonformista, concettuale»!
Cercatelo in vinile, in streaming si fa fatica!

La Firma: Poisonheart

 

 

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