Moving Forward – No Frontiers

La storia dei No Frontiers è una storia di amicizia, passione per la musica, grande dedizione e soprattutto amicizia (sì, due volte!). Moving Forward è il secondo lavoro sulla lunga distanza della band milanese, che segna oltre che un leggero cambio di line-up (a volte un vero e proprio trauma per gli equilibri e le abitudini), anche una presa di coscienza matura verso la musica ed il mestiere di musicista.
La base imprescindibile rimane il punk-rock, quello dalla parte sinistra del letto, quello più recente e caldo, quello fatto di power-chords potenti e ballabili e di una maggiore finezza espressiva. Quindi non aspettatevi ululati nichilisti, chitarre crude e sgraziate, e nemmeno velocità da campioni hardcore; i No Frontiers veicolano il punk come materia di congregazione, cercando libere interpretazioni al tema, con scorribande più o meno lecite verso l’hard-rock e confini. Se Riccardo May (chitarra) ed i fratelli Daniele ed Alessandro Canegallo (rispettivamente batteria e chitarra) sono i membri fondatori del progetto No Frontiers, è con l’aggiunta del basso di Ettore Pessotto, che avviene la volontà di registrare un secondo disco (dopo l’esordio istintivo Unauthorized Noises del 2003), testando così le nuove alchimie venutesi a creare con il nuovo arrivato.
La potenza e le buone intenzioni ci sono tutte, l’impatto sonoro risplende di riff d’apertura veloci ed accattivanti che presto lasciano il posto a power-chords tirati, nel quale la sezione ritmica s’inserisce meschina per ingrassare il sound che implode poi in chorus orecchiabili, in linea con l’ondata punk di metà anni novanta.
No Frontiers - Moving ForwardI buoni arrangiamenti, la brevità d’esecuzione e qualche assolo di chitarra o basso, rendono Moving Forward un disco che s’ascolta tutto d’un fiato per poi rimetterlo dall’inizio e ascoltarlo di nuovo. I puristi del punk o gli ascoltatori più esigenti verranno presto zittiti da una buona omogeneità all’interno delle nove tracce; i No Frontiers senza trucchi o soluzioni troppo esagerate suonano come dei pazzi, tirati e precisi, nonostante a tratti si senta l’esigenza di una piccola variazione di tema. Eppure ad ascoltare bene si possono apprezzare le diverse esperienze della band, dall’oscuro punk granitico di Delay (con qualche contaminazione maideniana degli esordi), al più lento e grumoso heavy di Hiccups, passando la piacevolissima 1059, W. Addison St. nel quale i ricordi e le belle sensazioni si sprecano. Interessante Counting Down the Days, capace di variare le velocità ed i volumi con una naturalezza quasi disarmante (bello il duello di chitarre e basso nella seconda parte del brano!); mentre in Paradox è la solitudine del basso che fa terra bruciata attorno a gironzolare parecchio per la testa dell’ascoltatore.
Nel finale di disco, ecco il ritorno del punk d’assalto con Scream your Name! (davvero nulla da invidiare al radiofonico punk-rock americano) e di Hobo Soul che mantiene vigile il livello d’attenzione, grazie ad una tensione crescente, che contropelo soffia verso un involontario brano da cantare in coro (interessante anche la voce femminile nel chorus). Da segnalare l’unico brano in italiano, Semplice, che nel finale fa intravedere altre possibili soluzioni per il futuro (nonostante i No Frontiers non siano nuovi a brani in madrelingua), ponendo non solo basi solide per il presente, ma auspicando anche che qualche vigile etichetta indipendente possa bussare alla porta dei No Frontiers, perché con l’ottima produzione di Moving Forward hanno dimostrato di avere tutte le carte in regola per poter confezionare tanti altri ruggiti punk-rock.

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recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

 

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