Bormida (ep) – Meconio e i Difficili Equilibri sulle Rapide

Quando si dice il prog dimenticato, quello che marcisce sul piatto con tre dita di polvere. Un cimelio, uno spaccato seventies di psichedelia, spiritualità lisergica, di spiritosa folgorazione italica per un one-man-band come Meconio L’Apostata, menestrello in casa di riposo o in rehab.
Ebbene sì, anche il Belpaese aveva la sua Canterbury stroboscopica che pulsava con la stessa perseveranza e follia dell’originale, e questo disco, di cui Lester Bangs scrisse controverse lodi e maniacali stroncature, né è la prova tangibile: il prog passò anche da noi, anche se velocemente e sottoforma di extended play.

Meconio e i difficili equilibri sulle rapide - Bormida epMeconio e i Difficili Equilibri sulle Rapide, rappresenta la fervida immaginazione della cultura anni ’70, scanzonata, libera da schemi e con la missione della sperimentazione ad ogni costo ed con ogni mezzo; solo così si giustificano i 26 schizzi colorati di Bormida.
Atmosfere affogate in chitarre liquide che evaporano in nuvole colorate, senza la retorica italiana dell’imitare goffamente ciò che gli esterofili odoravano da lontano. Precursore Mecomio, di cui non si sa praticamente nulla, avanti troppo avanti (almeno di 40 anni, ah!) nel concepire le dinamiche musicali. Ne sono la riprova i brani più spicci, quelli dal minutaggio essenziale che lasciano spazio solo all’improvvisazione di una sei corda acida e di un timbro vocale quasi inanimato (Il Saltimbanco, ad esempio), ma sferzante, senza peli sulla lingua e un pizzico alienata (vedasi Il Segreto, «Ma ammetterai / che anche aprendo le atomiche/ tu rimani persona schifosa»).

Un modus operandi lucido e completamente nuovo per l’epoca, che volteggiava sopra ogni retorica polito-sociale, e nel quale ringhiavano testi maturi (come non citare la tensione intrapelle di La Ricetta Imperfetta, o le urla di diniego in Immobile) anche se quasi incomprensibili ai fedelissimi della musica leggera italiana targata RAI Technicolor.
Musicalmente la varietà è talmente spinta che è difficile assegnare una stupida etichetta; onnipresente la movenza sensuale della sei corde, che mima in atteggiamenti talvolta acustici talvolta annegati nel groove ’70, ma sempre ricettivi e con la voglia di raccontare un mondo nuovo, nel quale le teorie hippies sono già sepolte sotto una coltre di sabbia digitale.

Tuttavia il disco passò inosservato all’epoca, un po’ per il formato “asociale”, ma specialmente per alcuni brani ritenuti provocatori o addirittura con risvolti satanici: Rob in maniera velata (forse…), e certamente Oblivia che centra in pieno il conservatorismo cattolico celando un ironia dissacrante («Malgrado le apparenze, il demonio sa esserti amico fedele» anche ascoltandola al contrario, ma non provatelo sul vostro giradischi!!! Da segnalare ancora Il Tunnel Carpale (sonetto 16), brano pomposo e cosmopolita che regala un trip veggente per un vintage style che a ripensarci ha fatto scuola un decennio dopo …

Ep sacro. Ep viscerale. Ep da scherzo di carnevale. Ep finto ’70.
Complimenti fedeli, lettori siete stati giocati dalla raccolta di “colonne sonore psicosomatiche” del ventunesimo secolo di Francesco Lo Re, alias colui che ha arrangiato, scritto e fantasticato un fasullo amarcord progressive intriso di no-sense; riuscendoci almeno nel burlesco approccio iniziale … Geniale, tutto sommato!

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recensito da Poisonheart
 Poisonheart hearofglass

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