L’indimenticane – DON rodriguez

L'indimenticane  DON rodriguezIl Cardiocane mi sembra una bella mascotte! O meglio, il Cardiocane rappresenta un ideale ed il seme di una bellissima una contraddizione.
La vita. L’amore. L’animale.
E’ da qui che voglio partire, in questa mia personalissima traduzione, per cercare di spiegare la musica e gli umori dei DON rodriguez e del loro esordio in long-playing, L’indimenticane, in uscita il 14 maggio per Dischi Soviet.
Registrato nello SAM Studio di Lari, il trio Fruvaz, Alberto V Bontà e Bovo (rispettivamente basso-chitarra-batteria da Verbania) suonano insieme da poco più di tre anni, eppure non perdono tempo, avendo già alle spalle due ep e numerose partecipazioni ad eventi (vedi Arezzo Wave, tanto per citarne uno!) ed sopratutto una concezione di musica matura ed impostata verso una precisa direzione. Giovanotti che sanno di cosa odoravano gli anni ’90 e che segretamente ne covano ancora una sincera nostalgia. Lo intuisco dal palm-mute con cui si apre il disco e quel ritratto spogliato su Primo Carnera, disegnato come un personaggio estraneo, generoso e racchiuso nella solitudine che quella gigantesca figura si portava appresso, e di come tutto questo poi esploda in un chorus nel quale distorsioni e volumi s’alzano come negli anni delle camicie a quadri.
Il gioco dei volumi, la passionalità delle liriche ed una capacità di infondere il pathos al momento giusto sono gli ingredienti onnipresenti nelle 14 tracce (oggigiorno un’anomalia in un lp) di questo disco, che però ha anche la capacità di confondere e di insinuare i giusti indizi per arrivare a quello che i DON rodriguez vogliono davvero comunicarci. Uno brano sul quale mi immergo in tesa contemplazione è FRANK (lo sparo) ed il suo incipit Prefrank. Ci si muove su livelli sonori diversi, nel quale la matassa sporca del basso lavora sottotraccia evocando un cristallino ed ossessivo riff di chitarra, fino a che tutta la struttura implode sotto i colpi di un soffocato «venne presto primavera, il mondo si dischiuse da una sfera». L’amore è amputato e confuso da metafore di vita, e i DON rodriguez sono bravi a criptare ogni emozione, ad ululare un cinismo canino verso quello che mi appare come lamento indifferente: un manifesto contemplativo, un grande brano!
Tuttavia non siamo difronte ad una banda che trascina il rock anni ’90 per i capelli (ho volutamente ignorato il termine grunge e che diamine!), le soluzioni compositive sono più ampie e le dinamiche della chitarra aprono talvolta a ballate evocative come in Per combinazione, o ad oniriche escursioni in una sperimentazione pop come in Nuvole Blu o ancora a frizzanti ritmi caldi di clashiana memoria in La Stagione degli Alisei.
Cito anche per personale empatia i ritmi scanzonati di 6 Novembre e l’approccio più complesso di Diario di Bordo nel quale la band si spinge verso una direzione compositiva che potrebbe essere la bussola per un futuro diverso.
Arrivo finalmente ad ascoltare Stazione 28 (primo singolo estratto e di cui gira già il videoclip), nel quale una sorta di spensieratezza organica concede al brano una piacevole sensazione verso il tenero oblio. Siamo dinanzi ad un’altra manifestazione delle capacità compositive del trio, sia come soluzioni armoniche sia come abilità nel rendere orecchiabile un brano dalle liriche crudeli e nettamente intimiste.
Alla fine quello che resta è un album intenso, senza quelle melodie villane che vorrebbero il verso alla musica alternativa, ove un pizzico di autoironia si irradia verso il pubblico: L’indi– sì, ma poi il cuore, l’anima e tutto quello che ci sta sotto (il  -menticane) ce lo mettono i DON rodriguez!
Eppure bastava dare uno sguardo alla copertina. L’indimenticane ci dà già tutti gli indizi per poterlo codificare: i guantoni del Cardiocane, in numero 28, il cuore straziato abbandonato in mezzo alla strada.
È l’apocalisse di un delitto consumato in musica. Un buon delitto, a mio parere!

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La Fame Dischi

 

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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