Lassù se la staranno spassando, al “Club 27” !

« … glielo dissi di non entrare in quello stupido club!». Questo lo sfogo di Wendy O’Connor, madre di Kurt Cobain, alla stampa affamata di scoop, l’indomani della tragica notizia. Ma a cosa si riferiva la donna? Benvenuti nell’olimpo rock delle vite spezzate, e per certi versi, tristemente noto come “Club 27”, ossia una sorta di necrologio ideale di tutti quegl’artisti che morirono giovanissimi e per cause non propriamente naturali, all’età di 27 anni.

Macabro, forse, affascinante sicuramente. Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison: la migliore generazione musicale, bruciata nell’arco di soli 2 anni. Tutti a 27 anni. E tutti con una J nel nome o nel cognome  (ecco che viene definito anche “J27”). Beh,  non mi avventurerò di certo, in fantomatiche supposizioni, complotti o congiure da parte di servizi segreti, FBI, sette satano-massoniche, occultamenti o altre teorie. La volontà è di onorare e celebrare la loro vita e la loro arte, quindi niente dietrologie per far incastrare con la forza le tessere sfalsate di un puzzle lezioso e sibillino.

Per quanto racconta la storia, ci si riferisce a questi quattro artisti quando si parla di Club 27, con l’aggiunta di Cobain, nonostante le circostanze siano state decisamente diverse in epoca e modalita.
Partiamo dall’inizio. Brian Jones è l’istrionico chitarrista tuttofare degli Stones, dio e attrattiva sessuale lungo la folle movida del Sunset Strip Blvd tra il ’66-’68. La band è all’apice grazie ad un album rivoluzionario come Aftermath (1966), e Jones si prende la sua grossa fetta, oscurando con la sua personalità spiccata la coppia artistica Jagger-Richards. La controcultura degli eccessi, l’alcool, la droga, la vita lisergica e perennemente in festa portano sempre più Jones lontano dagli Stones, secondo Richards: «Il grosso problema di Brian non era musicale. È che, se le cose andavano bene, era portato a fare in modo di rovinare tutto. So cosa vuol dire: c’è un demone in me, ma confesso di averne uno solo. Brian probabilmente ne aveva altri quarantacinque». Fuori dal giro Stones, e dopo un periodo di semi-isolamento a Cocthford Farm, il 3 luglio ’69 Jones fu trovato dalla fidanzata di allora, Anna Wohlin sul fondo della sua piscina a Hartfield: morte per affogamento, si disse.

Le storie di Jimi Hendrix e di Janis Joplin mantengono quel sagace deposito di follia ed estro in fondo al bicchiere: impossibile per la cannuccia rubarne l’essenza. La loro vita è la storia del rock, inutile ricordare la chitarra incendiata a Monterey o la profanazione di The Star-Spangled Banner a Woodstock, o l’enfasi malata delle performance con la Big Brother and The Holding Company. Ci hanno lasciato album fenomenali ed allo stesso complessi ed invaghiti di quello stesso genio sregolato e libero ma che voleva tendere al quadro della perfezione: questo era il grosso fardello sulle loro spalle. La maestosa blues-jam di Electric Ladyland (1968) o la ricercatezza Cheap Thrills (1968) che scomoda persino Gershwin, sono sintomo di un concezione artistica sopra la media e avanti con i tempi. Nel giro di 20 giorni, da Londra a Hollywood, lasciano un aura indelebile nel mondo musicale e giovanile della controcultura: il 18 settembre 1970 Hendrix soffocato nel vomito e il 4 ottobre Janis Joplin trovata in un motel con l’ago ancora infilato nel braccio ed i 6 dollari di resto dell’eroina in mano.  L’arte oratoria della stratocaster di Hendrix, ci regala un passaggio che fa riflettere: «Well she’s walking through the clouds, with a circus mind that’s running round …» una pupa pericolosa, la droga!

«State bevendo con il numero tre. Esatto il numero tre». Jim Morrison fu profetico. Dopo due ottimi album con i Doors, la figura edonista del Re Lucertola contrastava con la dimensione poetica di James Douglas Morrison che di non si sposava più con l’ottica da show business dell’ Elektra. Morrison decide che on the road c’è solo una vita sregolata ed eccessiva, e per conciliarsi alla sua indole da poeta, abbandona l’aura sexy e sessuale degli esordi per trasformarsi progressivamente, anche grazie alla bottiglia, un barbuto e sudicio relitto con velleità blues. L’ultimo grande capolavoro è L.A. Woman (1971), il pianto malato e stridente di un Morrison sempre oltre la soglia e distante dai Doors. Ecco che disse alla rivista Circus nell’ottobre 1970: «Secondo me, la grande esplosione di energia creativa di 3 o 4 anni fa è stata dura da sostenere per gli artisti più sensibili. Capisci? Probabilmente sono insoddisfatti, si accontentando solo del “massimo”. Quando la realtà smette di assecondare le loro visioni interiori, si deprimono… ». Da sua stessa ammissione avrebbe voluto essere cosciente nel momento del trapasso, ritenendolo come un momento decisivo dell’esistenza umana e quindi coerente con la concezione blakeiana della percezione. Non fu così, e scambiando l’eroina di Pamela Courson per coca, fu ritrovato esanime in una vasca da bagno al n.17 di rue de Beautreillis, il 3 luglio del 1971.

Il quinto membro si aggiunge poco più di vent’anni dopo, 8 aprile 1994 nella sua casa di Olympia viene ritrovato senza vita il corpo di Kurt Cobain, trapassato da un colpo di fucile in bocca: suicidio. Una discesa agli inferi iniziata dopo il successo generazionale di Nevermind (1991) e culminata la tossicodipendenza da eroina ai fini di placare i lancinanti dolori allo stomaco che perseguitavano il cantante. In mezzo tanto feedback, teenage against, che sfociano in canzoni memorabili entrate da subito nella storia, oltre che faccende meramente giudiziarie riguardanti un abuso di potere da parte dei media sulla vita privata della propria famiglia. Messa in croce la moglie Courtney Love e privati temporaneamente della custodia della figlia, Cobain si ritrova solo, causa la tossicodipendenze, e lontano dai Nirvana. Il grido di aiuto del 3 marzo all’Excelsior di Roma fu solo un macabro preavviso di quello che appena un mese dopo si sarebbe compiuto in solitudine con solo Boddah ad ascoltarlo. «Il 1993 è arrivato e se n’è andato senza nemmeno che me ne rendessi conto. Oltre a registrare un disco di cui siamo abbastanza orgogliosi, ci siamo sorbiti i rompicoglioni che non l’anno neanche ascoltato. Devo dire che sì, è stato un anno fruttuoso. Frances è un giocoso angioletto in boccio e ci ha aiutato in modi che non potrà mai comprendere».

Beh, se volessimo per esercizio allargare la soglia del “Club 27”, limitandoci ad elencare le morti del ventisettesimo anno, certamente  non si può dimenticare il bluesman indiavolato di Robert Johnson, avvelenato da una dose di stricnina disciolta nel suo whiskey, oppure la prematura e triste morte di Dave Alexander, bassista degli Stooges, stroncato in solitudine dalla polmonite, o ancora D Boon anima dei Minutemen morto in un incidente stradale, o ancora la strana storia di Richard James Edward fondatore dei Manic Street Peachers, scomparso misteriosamente nel febbraio 1995 e dichiarato morto nel novembre 2008 (ma senza mai ritrovare il corpo). Solitamente è la dama droga a uccidere così prematuramente, come nel caso di Kristen Pfaff, bassista delle Hole, o Alan Wilson mente dei Canned Heat, oppure superando i confini della musica, J.M. Basquiant. La lista sarebbe tristemente lunga e dopo un po’ anche priva di gusto, ma ci piace pensare che quei 4+1 siano lassù, a suonare e cantare, e a rendere un po’ più fico, quel fin troppo noioso paradiso dei cieli, o come preferite!!!

Qualche mese dopo la pubblicazione di questo articolo, se ne andava per sempre anche Amy Winehouse. Aveva 27 anni. Questo articolo è dedicato anche a lei!

La Firma: Poisonheart
Poisonheart hearofglass

Share

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.