Lady Psyché and her Heart Mechanix – Gleam

Lady Psyché and her Heart Mechanix - GLEAMPrendete diverse infatuazioni musicali in diverse epoche stilistiche. Siete capaci di assemblarle in un puzzle sonico, dall’umore lunatico e da una struttura lontana dal classico verse-chorus-verse? Qualunque sia la vostra risposta (ma a questo punto non me può fregar di meno!), provate ad ascoltare un disco che non suona nuovo, e forse non vuole nemmeno esserlo, ma che è abile a cambiare pelle e ritmi in maniera decisa e sensata, anche all’interno della singola sinfonia. I GLEAM sembrano divertirsi a prendere per il culo i recensori di mestiere (quindi non certo me, aha aha!), in quanto non lasciano mai tracce tangibili o chiaramente leggibili di un percorso musicale unico. Tuttavia nulla è abbandonato all’oblio lisergico dell’espansione mentale, e in questo secondo lavoro convivono, quasi sempre in maniera convincente, diversi stili ed originali soluzioni che strizzano l’occhio tanto alla wave paffutella dei primi 80’s, sia al rock dinosauro di metà anni settanta.

Lady Psyché and her Heart Mechanix, (autoprodotto e registrato ai Black Bananas Studios di Brescia) può apparire forse un album complesso, ma in realtà l’approccio di costruzione dei brani è istintivo, con mano leggera e semplice a tessere melodie poliglotte. Berber Dance apre le danze con un vocione roco e strozzato come un Tom Waits in acido, contemplativo, emozionante e sgraziato allo stesso tempo. E se musicalmente è un petulante basso a fare da ariete, la fluidità delle chitarre lascia abbastanza soddisfatti; fintantoché la cantilena cupa e sommessa viene rivoltata e ribaltata da un cambio scena -più che di tempo- che mima verso un rock pomposo e colorato alla Toto oserei dire.
Feeling Lazy balza di colpo in un atmosfera non dissimile a quelle dei primi smaliziati U2 (ed accettabili, permettetemi!), con l’aggiunta di un funk ancora imballato e avvolto in naftalina. Tuttavia la creazione del pathos ed dell’ atmosfera sembra essere una prerogativa della band, che archiviati questi due primi canonici brani, passa ad una più consapevole prova di forza, annegando la sei corde in fiumi di flanger e delay. Quasi vintage, quasi wave Out of Sync, che lambisce le pareti del pop, senza impiastricciarsi troppo le mani. Sussulto personale per Blond Purslane, parentesi meno ispirata del disco, probabilmente per quello stacco dal secondo trentesimo in cui riconosco echi doorsiani dal retrogusto lascivo.

Le soluzioni musicali non raggiungono mai l’estremo, insomma i Gleam non sono freddi sperimentatori con il pallino dell’analogico, ad ogni modo il loro rock soppravvive, talvolta con soluzioni lineari, talvolta con barlumi di accecante originalità. Tra tutte mi colpisce Sugarless, se non altro per il timbro malinconico e stremato della chitarra, come se i My Bloody Valentine coverizzassero l’hair metal, o altre ballate da macho duro ma sensibile dentro (mumble … mumble!). Da segnalare good vibrations per Frantic touches, lucid dreams nel quale aleggia un fresco pianoforte, in una ballata-concept che strizza l’occhio al british-style.
Album sostanzialmente ben costruito, ma che deve essere preso con l’umore giusto, limato e sfumato in alcuni cambi di ritmo e stile, a volte la sensazione è quella di un trapasso tra la modalità arcade e simulazione …
Suggerimento: assolutamente potenziare le percussioni!

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recensito da Gus
Gus heartofglass

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