La Stanza di Swedenborg – Vanessa Van Basten

Era il lontano 2006. Questo spazio di recensioni non esisteva ancora, ed il progetto dei Vanessa Van Basten scuoteva per sempre l’acerbo indipendent italiano con un album che oggi è diventato un cult, uno di quei lavori che dopo anni suonano ancora splendidi e nostalgici. La stanza di Swedenborg è un disco oscuro, intriso di tensione dalla prima all’ultima traccia; che forse in pochi avranno apprezzato all’epoca, ma che oggi rappresenta una fonte di ispirazione indelebile per chi bazzica tra sperimentazione, rumore, shoegaze e post-rock. La genovese Taxi Driver Records a dieci anni dalla quella prima pubblicazione, ripubblica La Stanza di Swedenborg, aiutando così chi è venuto dopo a scoprire uno dei progetti che all’estero ci invidiano, e che (mai profeti in patria!) il Bel Paese ha troppo sottovalutato.

Morgan Bellini è il capoprogetto di un’idea nata nel 2005 e via via sviluppata grazie anche alle movenze di basso di Stefano Parodi, che trovata la giusta alchimia tra distorsioni epocali, delay trascinati per i capelli ed andature acustiche porta alla nascita del primo lavoro in long-playing: La Stanza di Swedenborg.
Ispirato, almeno nell’incipit, dalla miniserie danese The Kingdom a firma del maestro Lars Von Trier, rappresenta un’indagine musicale tra le pieghe della mente, delle percezioni avviluppate tra di loro, di quei sottili confini tra conscio ed inconscio, ove spesso la morte e l’oscurità s’insinuano in un pastiche di tensione che fa brillare di elettricità ogni singolo nervo.
L’incredibile ricchezza sonora è garantita da cavalcate epocali tra effetti, campionamenti freddi, e stilettate di chitarra e basso che colgono tutto lo sporco degli anni ’90 percuotendolo verso scenari più eclettici, ove la modulazione del suono trova la sua ragion d’essere. Echi spettrali, pause deifiche, discese e rapide avvinghiate in turbinii sonori che nulla hanno da invidiare ai pionieri del rumore industrial; il tutto senza il minimo barlume di armonia, di orecchiabilità o di liriche cristalline, l’anima strumentale ci redime dalla malattia mentale.

La stanza di Swedenborg - Vanessa Van BastenVoluttà blakeiane ed orgasmi metallici risuonano nella finale Good Morning, Vanessa Van Basten!, epilogo maestoso che raccoglie tutti gli elementi sinistri dell’album. Acuti affogati in grumi di distorsioni heavy, mentre un beat elettrico ci ride addoss, nel momento in cui si scatena la tempesta: più livelli armonici si sovrappongono creando il caos e la bellezza, simulando un urlo smeraldo come se fuoriuscisse da pieno petto… e poi il finale è una sorpresa!
Se i primi secondi ci introducono alle tematiche del disco (alcuni estratti della già citata The Kingdom), è in Love che si compie il piccolo miracolo acustico che resiste sotto la spinta di una ritmica quasi tribale e che poi esplode nella più quadrata Dole. Qui si materializzano i connotati dei Vanessa Van Basten, che trovano negli arrangiamenti ben bilanciati il compromesso (se così si può chiamare) tra la decadenza dei giri di chitarra e l’oblio di sottofondo che graffia l’orecchio.
Se l’apparato musicale di questo disco sembra piuttosto circoscritto, è nel sorprendente mezzo-folk costellato di brividi slide e di fischi di armonica in Giornada de Sole, che prende le distanze (apparentemente) con quanto apprezzato fin qui, ed in men che non si dica ecco che fulmini di rumore irrompono veloci per poi sparire senza lasciare traccia, lasciando l’ascoltatore confuso e tormentato. Il faro non schiarisce le idee, nonostante i suoi ritmi dimessi e riflessivi; ci si riprende appena in Floaters che swinga con la giusta enfasi verso uno shoegaze ben modellato sotto le sembianze di una ballata sotto una pioggia estiva, contaminazioni etniche e volatili momenti dronici arricchiscono il bagaglio sonoro dei Vanessa Van Basten, che mostrano nuovamente grande abilità nel maneggiare ingredienti diversi. Chiudo questo omaggio con Vanja, penultimo brano de La Stanza di Swedenborg, la cui andatura mutante sembra cogliere tutte le idiosincrasie della natura umana, ritornano i suoni rotti dell’elettronica più viscerale, ritorna la violenza della musica, ritorna la bellezza!

Non ci sono tante altre parole per descrivere questo disco, poiché la complessità e l’immediatezza di certi passaggi lasciano spesso attoniti, e non fanno che aumentare la curiosità (ed il rimpianto) per questa band che dal 2015 ha deciso per un letargo artistico a tempo indeterminato. Grazie alla Taxi Driver Records è possibile reperire l’eredità dei Vanessa Van Basten e della loro musica visionaria e senza confini. Mettetelo sul piatto!

Vanessa Van Basten facebook
Vanessa Van Basten sito ufficiale
Taxi Driver Records sito ufficiale

recensito da Poisonheart
Poisonheart hearofglass

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